Focus

La giustizia civile in Italia

di Esecutivo di Magistratura Democratica

Può funzionare meglio?

di Maria Luisa Rossi

ROMA – Come
è possibile che la giustizia funzioni, nonostante
le riforme e nonostante le risorse delle quali dispone? I dati esposti nel
rapporto del Cpej, e richiamati nel rapporto annuale del Cnel, appaiono
eloquenti e dicono che oggi,  con le  risorse a disposizione, la giustizia civile
non potrebbe funzionare meglio. E’ stato definito il paradosso della Giustizia
Civile italiana: i dati diffusi nel settembre 2012 dalla Commissione Europea
per l’efficienza della Giustizia evidenziano che si tratta della giustizia di
gran lunga più lenta tra i Paesi principali del Consiglio d’Europa ma al
contempo caratterizzata da una fortissima domanda di giustizia cui corrisponde
una straordinaria produttività dei giudici civili e una “performance” nel 2010
dei tribunali civili italiani tra le migliori d’Europa. Ciò a fronte di risorse
umane destinate alla giustizia civile di gran lunga inferiori alle media
europea e di risorse materiali di poco inferiori alla media dei Paesi del
Consiglio d’Europa.

I
risultati cui si fa riferimento nei rapporti, sono dunque il frutto esclusivo
dell’impegno individuale e del senso di responsabilità di molti magistrati e
del personale amministrativo. E, in parte, anche della vera, leale e proficua
collaborazione con il Foro.

Mi
riferisco, in particolare, alla costituzione degli Osservatori sulla Giustizia
civile, citati di recente anche in occasione della inaugurazione dell’anno
giudiziario nella relazione del Primo Presidente della Cassazione che , non a
caso,  ha riconosciuto ai protagonisti di
questa esperienza “capacità di autoriforma”.

Gli
Osservatori non solo hanno introdotto prassi virtuose negli uffici giudiziari,
ma soprattutto hanno contribuito ad aprire la strada ad un  mutamento profondo del modo di pensare di
tutti i protagonisti del processo.

E’
un’esperienza che ha già  dato i suoi
frutti in moltissime realtà giudiziarie, e che può avere ulteriori e
significativi sviluppi: attraverso il coordinamento nazionale, gli Osservatori potrebbero
acquisire anche un ruolo propositivo, suggerire 
interventi e riforme idonee per affrontare le criticità, partendo dalla
esperienza concreta degli operatori del processo.

Per
la diffusione e l’incremento delle prassi virtuose è, tuttavia,  necessario , innanzitutto, quel cambiamento
culturale al quale prima facevo riferimento e che vuol dire: da parte dei
magistrati, convinzione ed impegno nell’affrontare l’aspetto organizzativo del
lavoro quotidiano: studio preventivo dei processi in vista dell’udienza,
rigorosa organizzazione del ruolo di udienza, elaborazione di un archivio di
appunti ( per agevolare , da un lato , la spedita trattazione della causa,
dall’altro, una  stesura più celere della
motivazione, avvalendosi dei percorsi motivazionali e  richiami giurisprudenziali già utilizzati per
la redazione di ordinanze istruttorie o per la soluzione di questioni
preliminari ), da consegnare al momento del trasferimento dall’ufficio al
successore nel ruolo; acquisizione di sempre maggiori competenze  in campo informatico. 

La
capacità di utilizzo delle risorse informatiche è, peraltro,  un elemento rilevante non solo per le
periodiche valutazioni di professionalità, ma anche ai fini della valutazione
delle  attitudini per il conferimento degli incarichi
direttivi  e semidirettivi.  La normativa secondaria sulla dirigenza prevede
espressamente che la idoneità degli aspiranti si desume oltre che dalla
capacità di organizzare, programmare e gestire le risorse in rapporto alle
necessità dell’ufficio ed alle risorse disponibili, anche dalla “propensione
all’impiego delle tecnologie avanzate” (testo unico dirigenza).

Particolarmente rilevante è il ruolo affidato
ai presidenti di sezione: a questi, in particolare, spetta il compito di
coordinare il gruppo dei giudici appartenenti alla sezione, di favorire lo
scambio di informazioni per uniformare la giurisprudenza e l’introduzione di
prassi virtuose per la gestione dell’udienza, 
di incentivare l’aggiornamento professionale, di verificare il regolare
svolgimento delle attività e di intervenire nelle situazioni di criticità (
ritardi, disfunzioni nella gestione delle udienze , etc.). 

Ma
anche gli Avvocati sono chiamati a fare la loro parte collaborando nella
gestione ordinata dell’udienza, presenziandovi edotti del contenuto della
controversia, evitando il deposito di scritti inutili e ripetitivi, portando a
conoscenza del giudice con sufficiente anticipo l’eventuale definizione
stragiudiziale della lite ( ad esempio nel caso in cui sia fissata la
discussione orale della causa per la decisione), per fare solo alcuni esempi. Il processo deve, infatti,  realizzare pienamente ed esclusivamente la
funzione di accertamento e di tutela di diritti realmente controversi in un
quadro di leale cooperazione tra le parti e non può essere utilizzato quale
strumento di ritardo nella soddisfazione dei crediti o, all’opposto, come
strumento di sleale aggravamento della condizione del debitore; in breve, non
deve ridursi a strategia economica della parte che è in torto
( la
giustizia del futuro – documento ANM) .

Dunque,
come le idee, anche la
Giustizia, come si usa dire, 
“viaggia sulle gambe degli uomini”.

Tuttavia,
è altrettanto corretto affermare che l’impegno personale non basta.

Chi
frequenta quotidianamente gli uffici giudiziari ha constatato come i reiterati
interventi sulle norme del codice di procedura civile non sono stati in grado
di incidere sul problema della durata del processo e su quello delle pendenze
arretrate.  Anzi, in alcuni casi, e penso
al processo societario, i risultati sono stati talmente negativi da determinare
il successivo intervento abrogativo. La riduzione delle scansioni temporali del
processo, con la riduzione da quattro a tre termini per la fase istruttoria non
ha determinato, neppure in parte, la riduzione dei tempi di definizione, costringe
inutilmente gli avvocati a depositare in tempi molto più brevi le memorie
difensive, pur se il giudice deve
poi rinviare la causa a mesi di distanza dalla scadenza dell’ultimo termine di
legge. L’accelerazione dei tempi delle scansioni processuali si vanifica ,
peraltro, al momento del rinvio per la decisione che, a causa del rilevante
numero di procedimenti in carico, non può che 
essere a lungo differita.

Da anni, l’ANM  elabora proposte per contribuire ad un
processo che restituisca efficacia, funzionalità e credibilità alla giustizia
nel nostro Paese.  Nel recente documento
del 12 febbraio 2013, “La giustizia del futuro”, l’Associazione ha indicato ,
per il   processo civile , alcuni punti
fondamentali di intervento ai quali accenno solo brevemente:  1) Semplificazione dei riti – Ai provvedimenti già adottati di riduzione
dei riti deve seguire un ulteriore intervento di maggior coraggio, che
sostituisca i riti speciali residui non strettamente necessari in ragione della
peculiarità della materia, favorendo lo strumento  del procedimento sommario;  2) Disincentivi contro l’abuso del processo.
3) Smaltimento dell’arretrato. 4) Mediazione di qualità- Introduzione più meditata delle forme di
mediazione e di conciliazione, con costi minori per il cittadino e premialità
nell’adesione alla proposta di mediazione o conciliazione. Occorrono regole
deontologiche e di incompatibilità più rigorose, il rispetto di un principio di
competenza e corrispondenza tra organismi di mediazione e uffici giudiziari,
un’adeguata professionalità per i mediatori. 5)Interventi sulla
disciplina delle impugnazioni e 6) sulla fase esecutiva.

Dopo
le tante proposte dell’Associazione, qualche risultato – auspicato anche dalla
Avvocatura più impegnata – è  finalmente
arrivato: l’inizio di una più razionale distribuzione dei magistrati sul
territorio con la recente riforma delle circoscrizioni giudiziarie,
l’introduzione del processo civile telematico, la semplificazione dei riti che,
come sopra accennato, merita di essere ulteriormente percorsa, la possibilità
di decidere, anche in grado di appello, con la sentenza a verbale.

Ma
ancora c’è molto da fare sul fronte : a) dell’innovazione tecnologica, b)
dell’adeguamento degli organici, non solo dei magistrati ma anche del personale
amministrativo ( ridotto oramai ai minimi dal blocco delle assunzioni nel
pubblico impiego e dalla incapacità di allocare in maniera razionale le risorse
esistenti); c) della riorganizzazione della magistratura onoraria  (In questo nuovo contesto va riguardata la
circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari e
l’ampliamento delle possibilità di utilizzazione del giudice onorario ); d) della
creazione di strutture di supporto ai giudici.

Il
giudice civile italiano è l’unico, nell’ambito europeo, a non essere dotato di
un Ufficio che lo affianchi nella propria attività.

La
norma dell’art. 37 del dl 98/2011 – che muove da altre iniziative a costo zero,
“partite dal  basso “ –  che  prevede la possibilità per
i capi degli Uffici di stipulare  
apposite convenzioni, senza oneri a carico  della 
finanza  pubblica,  con  le
facolta’  universitarie  di 
giurisprudenza,   con   le  
scuole   di specializzazione per
le professioni legali e  con  i 
consigli  dell’ordine  degli 
avvocati  per consentire ai piu’
meritevoli, lo svolgimento  presso  i medesimi uffici giudiziari del primo anno
del corso di  dottorato  di ricerca, del corso di specializzazione per
le  professioni  legali 
o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato, è solo
un timido inizio di un progetto che deve essere più ambizioso.

Da
queste proficue esperienze occorre partire per la creazione dell’Ufficio del
giudice.  E’ un tema sul quale l’ANM si
batte da tempo e che da tempo propone 
all’attenzione dei Governi, senza alcun esito. In tempi di riduzione al
minimo della spesa sociale, richiedere siffatti interventi può sembrare
utopistico. Tuttavia, alla costituzione dell’ufficio del giudice potrebbe, e
dovrebbe, accompagnarsi la abolizione del ruolo dei giudici onorari di
Tribunale(che potrebbero avere
titolo preferenziale nel concorrere al ruolo di collaboratori del giudice per
non sprecare alcune professionalità acquisite) con conseguente recupero di
risorse economiche.

Se si vuol dare un senso alla ripetuta
affermazione che l’inefficienza della giustizia civile  incide sul PIL in quanto scoraggia gli
investimenti da parte di operatori economici stranieri e, di fatto, ostacola
l’impresa per i ritardi nel recupero dei crediti, occorre considerare le
risorse da impiegare come un investimento certo e proficuo.

Neppure
le “ragioni del mercato” sono state sufficienti a stimolare interventi di
carattere strutturale. Il cd Tribunale delle imprese , “calato” su una realtà
caratterizzata da un pesantissimo arretrato e dalla scarsità delle risorse
umane e materiali, non potrà dare risultati entusiasmanti, almeno non in
maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.

Eppure
è da tempo che ci vediamo costretti a confrontarci, in ogni campo, con le
ragioni  dell’economia.

Ed
anche all’interno del mondo della Giustizia abbiamo cominciato ad utilizzare
moduli di pensiero,  terminologia,  a prefigurare obiettivi propri di un settore
che, se da un lato, interferisce con la giurisdizione e da questa ne è
condizionato, tuttavia se ne differenzia per natura e per gli scopi.

Equiparare
un ufficio giudiziario ad un’impresa commerciale, e verificarne i risultati in
termini meramente quantitativi, imbrigliare il lavoro del giudice in un
meccanismo produttivo finalizzato esclusivamente alla  definizione dei procedimenti, rinunciando
alla qualità ed all’approfondimento contrasta con il fine costituzionale della
giurisdizione. Ed è un rischio concreto che stiamo correndo.

Credo
che anche in un momento di emergenza (ma la Giustizia, in
Italia,  è stata sempre in emergenza),
non si debba dimenticare che, innanzitutto, siamo chiamati a giudicare dei
diritti della persona, dei lavoratori, ad intervenire nella crisi familiare e
dell’impresa e l’ importanza di questo compito, e la responsabilità che ne
deriva, deve essere la ragione principale e il principio ispiratore del fare
giustizia.

12 marzo 2013

12/03/2013

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