Europa e coronavirus
Emergenza sanitaria in carcere: l'appello al Consiglio d'Europa
Il Consiglio d’Europa, nell'attuale situazione di grave crisi sanitaria, deve dare impulso a politiche che possano portare a una rapida riduzione del numero dei detenuti. A tutela dei diritti fondamentali di questi ultimi e della salute pubblica
Di fronte alla diffusione del Covid-19, le carceri nel continente sono sull’orlo dell’abisso. È urgente che i decisori europei che esercitano poteri in questo ambito, e soprattutto il Consiglio d’Europa, prendano consapevolezza del pericolo e diano il primo impulso a politiche all’altezza del rischio. Tanto più se si considera che non si tratta solo di coloro che vivono o lavorano in carcere: il 17 marzo l’ufficio europeo dell’OMS ha avvertito che “il rischio di un rapido aumento della trasmissione della malattia nelle carceri o in altri luoghi di detenzione avrà probabilmente un effetto amplificante sull’epidemia, moltiplicando rapidamente il numero di persone colpite”. In altre parole, “gli sforzi per combattere il Covid-19 nella società possono fallire se non si prendono [...] anche misure energiche nelle carceri”.
Ad oggi, al di là delle disparità nazionali, è chiaro che non solo mancano tali misure, ma che le stesse non possono essere adottate senza una significativa e rapida riduzione della popolazione detenuta. I funzionari responsabili delle carceri sono chiamati ad adottare misure per assicurare, con urgenza, la limitazione del contatto umano in carceri spesso sovraffollate, liberare i locali per isolare i detenuti sintomatici, acquisire test e dispositivi di protezione generalmente non disponibili, definire protocolli di intervento con ospedali civili già in tensione, organizzare scorte per garantire i ricoveri e altro.
Tutto ciò si rivela ancor più come una missione impossibile nel contesto esplosivo generato dalla sospensione delle visite e dalla drastica limitazione delle attività. Incidenti collettivi e ribellioni si sono già verificate in diversi paesi. In pratica, l’amministrazione penitenziaria media costantemente tra le esigenze di tutela della salute pubblica e il mantenimento dell’ordine. Molto spesso, per mancanza di istruzioni chiare, per riflesso, inerzia o paura della destabilizzazione, si privilegia l’ordine interno, favorendo con misure di controllo e sicurezza la diffusione del virus (perquisizione di persone e celle, detenuti radunati per l’appello, uso delle manette...). Più in generale, anche con la migliore buona volontà, i responsabili delle carceri non possono mantenere misure di confinamento così incisive, per diverse settimane, senza che vengano prese disposizioni per allentare la pressione.
Di fronte al sovraffollamento delle carceri
Ovunque, di fronte alla gravità del pericolo, operatori, medici, ONG e istituzioni per la prevenzione della tortura hanno invitato i governi a ridurre la popolazione detenuta. Alcuni Stati hanno preso provvedimenti in tal senso, in particolare rilasciando detenuti prossimi al fine pena.
Ma in nessun paese questa politica ha portato ad assorbire il sovraffollamento e ancor meno a riportare le presenze effettive a livelli che permettano di adeguare il funzionamento delle carceri all’attuale crisi sanitaria. In generale, i governi europei restano in attesa ad osservare cosa fanno i loro vicini, rimandando qualsiasi misura che possa avere un impatto significativo. In questo contesto, una risposta forte a livello sovranazionale sembra essenziale, come avevano sottolineato una cinquantina di ONG attive nelle carceri europee il 18 marzo.
Certamente, nelle ultime due settimane, le organizzazioni internazionali hanno preso iniziative. L’OMS ha pubblicato le linee guida sulla risposta sanitaria da organizzare in carcere, mentre l’UNAIDS ha ricordato quanto appreso nella lotta contro l’HIV nei luoghi di detenzione. Da parte loro, gli organismi per i diritti umani hanno ricordato i diritti inderogabili che devono comunque essere garantiti dagli Stati durante l’attuale crisi sanitaria. Ma c’è urgente bisogno di un organo politico sovranazionale che definisca le risposte da dare alla crisi sul piano della giustizia penale.
Assumere il ruolo di referente
Il Consiglio d’Europa è stato all’origine dell’introduzione di regole comuni nel campo dei diritti umani in tutto il continente. È quindi naturale che sia proprio da questo ente che si attendono linee guida comuni nella situazione attuale. Come fa valere a buon titolo, il Consiglio d’Europa ha svolto un ruolo di primo piano nel guidare le politiche penali e penitenziarie negli ultimi trent’anni. Le raccomandazioni del Comitato dei Ministri, in particolare le Regole penitenziarie europee, guidano la stesura di testi legislativi in tutto il continente. In molti paesi, i suoi programmi di cooperazione tecnica determinano la gestione quotidiana delle carceri. Il Comitato dei Ministri controlla l’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, molte delle quali riguardano le condizioni di detenzione e l’assistenza ai detenuti.
Mentre i sistemi nazionali sono in subbuglio, è giunto il momento che gli organi del Consiglio d’Europa, e in particolare il Comitato dei Ministri - attualmente presieduto dalla Georgia - e il Segretario Generale, assumano il loro ruolo di referenti e si adoperino per adottare misure concrete che possano portare a una rapida riduzione del numero di detenuti e all’attuazione delle altre misure raccomandate nei 47 Stati membri. Inoltre, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), che è responsabile in particolare di garantire il rispetto del divieto di maltrattamenti, deve esercitare il proprio controllo sui luoghi di detenzione durante l’attuale crisi. Nelle attuali circostanze, l’inerzia del Consiglio d’Europa rischia di avere conseguenze di lungo periodo sulla sua autorità.
Firmatari: Simon Creighton vice-président du European Prison Litigation Network (EPLN), Krassimir Kanev président du Bulgarian Helsinki Committee, vice-président de EPLN, Sofia Ciuffoletti présidente de L’Altro Diritto, administratrice de EPLN, Danuta Przywara présidente de la Helsinki Foundation for Human Rights (HFHR), Massimo Moratti directeur adjoint des recherches, bureau Europe, Amnesty International, Rasmus Grue Christensen présidente-directrice générale, Dignity, Filipe Marques président de Magistrats européens pour la démocratie et les libertés (MEDEL), Laure Baudrihaye-Gérard Senior Lawyer à Fair Trials, Anke van Dam, director AFEW International, Christiane Féral-Schuhl présidente du Conseil national des barreaux, Xavier Van Gils, président de l’Ordre des Barreaux francophones et germanophones de Belgique (Avocats.be), Philippe de Botton, président de Médecins du Monde–France, Cécile Marcel, directrice de l’Observatoire international des prisons–Section française (OIP-SF), Benoît David president de Ban Public, Pepijn Gerrits directeur exécutif, Netherlands Helsinki Committee, Gunnar Ekeløve-Slydal directeur du département politique, Norwegian Helsinki Committe, Yevgeniy Zakharov, directeur du Kharkiv Human Rights Protection Group (KhPG), president du CA du Ukrainian Helsinki Human Rights Union, Olexandr Pavlichenko, directeur exécutif du Ukrainian Helsinki Human Rights Union, Valentin J. Aguilar Villuendas, coordinateur general de l’Association andalouse pour les droits humains, Natalia Taubina, directrice de la Public Verdict Foundation, Igor Kalyapin, président du Comité contre la torture, Olivia Venet, présidente de la Ligue des droits humains (LDH Belgique).
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