Editoriale
Dopo lo sciopero, oltre lo sciopero: restiamo uniti
Crediamo nelle ragioni dello sciopero e ci siamo impegnati per la sua riuscita.
La percezione di uno sciopero indetto in fretta per intercettare e, forse, blandire la legittima rabbia della magistratura più giovane, senza, autenticamente, coinvolgere tutta la categoria, ci aveva indotto a proporre emendamenti (uno accolto ma, poi, escluso dalle indicazioni operative date dalla GEC per l’attuazione dello sciopero, l’altro bocciato da un’esigua maggioranza) che sollecitavano preliminari momenti di confronto interno ed esterno alla magistratura, insieme alla possibilità di gestire, con saggia pacatezza, i tempi di indizione dello sciopero. Sono state fatte altre scelte, che abbiamo subìto, ma questo non ci ha fatto recedere – come collettivo, a prescindere da legittime scelte individuali – da un tenace impegno per la riuscita dello sciopero.
Perciò, abbiamo fallito anche noi; perché questo sciopero è stato un fallimento!
La riforma in gestazione parlamentate è pessima ed alcuni suoi effetti sono subdoli, insinuando un modello di magistrato burocrate, incline al conformismo ed al mimetismo, ossequioso e piegato ai totem della carriera e del disciplinare. Dovevamo prenderci il tempo per spiegare le nostre buone ragioni, evidenziare che ci battevamo per una giurisdizione più libera e consapevole e, perciò, coerente con il ruolo costituzionale della magistratura, a tutela dell’interesse dei cittadini, a partire da quelli più vulnerabili.
E dovevamo prenderci il tempo per tessere una trama narrativa che coinvolgesse tutta la magistratura, vincendo le tentazioni di un suo frazionamento che è solo l’anticamera di un suo drammatico indebolimento associativo ed istituzionale.
Le percentuali di voto, distribuite tra i distretti, ci offrono lo sconfortante risultato del 23% delle astensioni in Corte di Cassazione. Il dato va letto unitamente a quello che vede un’inversione di tendenza storica nella percentuale di questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di primo grado, rispetto a quelle sollevate dai giudici dei gradi successivi. Se gli anni ’60 e ‘70 sono stati la stagione della fioritura delle grandi questioni di legittimità costituzionale sollevate dai pretori (in sintomatica coincidenza con l’avvio della lotta associativa contro la carriera), oggi sono i magistrati dei gradi successivi a sollecitare con maggiore frequenza la valutazione del Giudice delle Leggi.
Un dato che narra l’enormità dei carichi di lavoro che affannano la magistratura più giovane, per la gran parte dirottata nei Tribunali più periferici e peggio organizzati, concentrata e sollecitata a dare sfogo ad ataviche esigenze di smaltimento, intimidita (sin dal terrorismo culturale subìto durante il tirocinio di formazione) dalla prospettiva di incorrere in procedimenti disciplinari e di accondiscendere al dirigente che dovrà redigere il rapporto di professionalità.
Questa magistratura si è ribellata all’ulteriore cedimento - imposto dalla riforma in gestazione - ad una logica statitisco-quantitativa, carrieristica, aziendalistica applicata al giudiziario. Per fortuna dei cittadini e della stessa magistratura, le nuove leve preferiscono ancora avere quale modello il pretore degli anni ’60 che si prende cura dei diritti sotto-protetti, piuttosto che il magistrato conformista e burocrate, immaginato dal Riformatore.
Un’altra parte della magistratura non è entrata in dialogo con quella più esposta agli effetti della riforma.
L’ANM non lo ha percepito e non si è fatta carico della esigenza di costruire un comune linguaggio solidale nella magistratura, agevolando, così, forme di frazionamento micro-corporativo al suo interno. La nostra proposta, invece, intendeva valorizzare l’entusiasmo dei più giovani per rivitalizzare il discorso associativo ed animare un autentico dibattito sul futuro della magistratura che, prendendo le mosse dalla consapevolezza delle ragioni culturali e strutturali che stanno alla base dei più recenti scandali, ci legittimasse quale interlocutore autorevole del Riformatore. Quella proposta ha mostrato di essere efficace (perché dove c’è stato maggiore confronto, c’è stata maggiore partecipazione), è ancora attuale e ci impegna con indefesso spirito.
Per lungo tempo abbiamo creduto che lo sciopero fosse l’extrema ratio, l’ultima nostra arma ove ad essere attaccato fosse il volto costituzionale della magistratura ed anche questa è una delle chiavi di lettura della mancata astensione, perché, pur condividendo le ragioni sottese alla protesta, molti hanno ritenuto inadatti il metodo e i tempi della protesta. Ma siamo in tempi di cambiamento epocale e, soprattutto, dobbiamo adattarci alle nuove sfide che la modernità ci propone. Le assemblee aperte svolte lo stesso giorno di proclamazione dello sciopero in quasi tutti i distretti (ma, per esempio, non in Corte di Cassazione), ci dicono che le nostre ragioni, se ben illustrate, incontrano l’ascolto e la comprensione di diffuse sensibilità presenti nella avvocatura e nell’accademia, alimentando anche un sano e proficuo confronto interno alla magistratura. Su questa voglia di dialogo interno e di apertura all’esterno si può ancora costruire un’efficace e moderno progetto di riforma, capace di illuminare il percorso del Riformatore e insieme di proporre all’opinione pubblica una narrazione della magistratura, del suo ruolo ma anche della sua crisi, diversa da quella portata avanti da forze che non gradiscono una magistratura libera che agisca come potere orizzontale e diffuso.
Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che solo un’ANM unita (che non significa un’associazione corporativa che pratica l’unanimismo e neppure l’opportunismo di singoli gruppi o di estemporanee alleanze di gruppi, ma un luogo di scambio dialettico e sintesi alta delle plurali sensibilità presenti nella magistratura, aperta al confronto con l’esterno) ha la legittimazione e l’autorevolezza per propugnare questo modello di magistratura.
Per questo dobbiamo superare le incomprensioni e farci centro motore di un rinnovato spirito associativo unitario che metta al centro la necessità di una riforma efficace della magistratura. L’ANM ha ancora spazi di intervento nel dibattito parlamentare. La mancata riuscita di questo sciopero può essere l’ennesima tappa della profonda crisi dell’associazionismo o l’inizio di una rinnovata azione che muova dalla consapevolezza degli errori compiuti e dalla necessità di recuperare il valore della partecipazione (facendo memoria della gestione dell’ultima assemblea generale), per tessere una nuova trama, capace di recuperare ad un’unità di prospettive e d’intenti tutta la magistratura.
Per questo proponiamo di rilanciare le iniziative nei distretti, volte ad alimentare il dibattitto sulle nostre buone ragioni, mettendole al confronto con avvocatura, accademia, sindacati del personale amministrativo e associazioni della società civile che si prendono cura della tutela dei diritti (specie quelli vulnerabili e sotto-protetti), dando così la concreta dimostrazione di una presenza capace di interloquire con l’opinione pubblica e niente affatto rassegnata a subire l’immagine falsa ed ipocrita di una magistratura inadeguata su cui addossare le inefficienze del sistema: una magistratura da punire. Dobbiamo, invece, essere protagonisti per una vera riforma ed a questo scopo Magistratura democratica mette a disposizione dell’ANM tutte le sue risorse.
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