DOCUMENTO PER IL CONGRESSO sul DISCIPLINARE
a cura di Claudio
Castelli
LA TESI
Il nostro sistema disciplinare funziona male e rischia di avere effetti
iniqui che spingono verso una crescente burocratizzazione. Il problema non è di
denunciarlo, magari strumentalmente per creare e sfruttare paura ed insicurezza
tra i magistrati, ma di mettere in campo interventi (possibili) che rientrano
nel nostro campo di azione per evitare una possibile deriva.
DUE PREMESSE
Devo fare due premesse
inevitabili una personale ed una generale.
Quella personale: ho
svolto e svolgo difese disciplinari. La mia visione è inevitabilmente parziale
e condizionata da ciò.
Quella generale: gli
orientamenti disciplinari ed in tema di valutazioni di professionalità possono
non piacerci, ma l’esistenza di un sistema disciplinare e di valutazioni di
professionalità è fondamentale per la stessa tenuta della magistratura. E’
impossibile che una magistratura che (meritoriamente) ha conquistato un elevato
livello di potere e di intervento non abbia una responsabilità professionale e
disciplinare. Del resto rammentiamo che questo è stato uno dei principali
argini per evitare l’introduzione di forme devastanti di responsabilità civile
e che la presenza di una progressione in carriera non automatica è stata un
fondamentale motivo che ha evitato blocchi anche stipendiali sugli avanzamenti
in carriera. L’idea corporativa che bisogna difendere tutto e tutti porta alla
distruzione, danneggia la maggioranza dei colleghi, mettendo tutti sullo stesso
piano mortificando merito ed impegno.
Idea non tanto in disuso
se risponde al vero che ci sono Consigli Giudiziari che non hanno mai stilato
un parere negativo o non positivo e vedendo le nostre stesse discussioni in cui
mai ci si lamenta di una promozione o di una assoluzione ingiusta.
IL SISTEMA DISCIPLINARE
Vi sono terreni su cui
il sistema disciplinare è severo, a volte feroce, quello delle mancanze
formali, in primis i ritardi nel deposito di provvedimenti e di ritardo nelle
scarcerazioni, mentre dimostra scarsa capacità di incidere su comportamenti
assai più gravi, che richiederebbero un minimo di indagini. La giurisprudenza
che si sta formando da parte in particolare delle Sezioni unite della
Cassazione, ma che inevitabilmente condiziona la sezione disciplinare del
Consiglio e la Procura Generale della Cassazione, sostiene che un ritardo nel deposito
di un provvedimento per più di un anno non può essere giustificato. E d’altro
lato analoga automaticità nell’escludere possibili giustificazioni comincia a
ravvisarsi per i ritardi di scarcerazione. Giurisprudenza che personalmente
trovo sbagliata perché va oltre il dato di legge (che parla di ritardo grave,
reiterato e non giustificato, e di negligenza inescusabile), mette nel nulla i
diversi contesti in cui i ritardi sono maturati (sia lavorativi, come carichi
di lavoro, tipologia dei processi trattati, sia extra lavorativi, quali
malattie e lutti familiari), non affronta in alcun modo i rapporti tra il
magistrato ed il suo ufficio (quale era il contesto generale, cosa ha fatto il
dirigente per affrontare i ritardi). In tal modo il magistrato viene ad essere
solo e vulnerabile colpito da una sorta di responsabilità oggettiva. Non solo,
ma quanto più amareggia leggendo le sentenze è la lontananza dalla
consapevolezza delle reali condizioni di lavoro in cui operano i magistrati nei
loro diversi mestieri, il non rendersi conto dei contesti di lavoro difficili e
complessi in cui si trovano a operare.
D’altro canto la Procura
generale non ha una struttura idonea per indagini complesse, come del resto
l’Ispettorato, che peraltro sconta la dipendenza politica, oltre al fatto che
le notizie di fatti gravi arrivano a questi organi non nell’immediatezza, con
relativa grave perdita di conoscenze. Ne consegue la scarsa idoneità della
struttura a far fronte a fatti veramente gravi e complessi.
Del resto è molto più
facile l’accertamento “burocratico” e matematico sul numero di giorni di
ritardi nel deposito di provvedimenti, che fatti ben più gravi a volte sfociati
in assoluzioni quanto meno discutibili.
Va detto che i dati
diffusi ogni anno dalla Procura generale testimoniano lo sforzo in atto per
“umanizzare” i procedimenti disciplinari: i dati del 2011 dicono che tra il 93
ed il 95 % delle segnalazioni vengono archiviate, che l’aumento dopo il
passaggio all’obbligatorietà si è assestato sul 50 % con un numero di azioni
disciplinari promosse poco oltre le 140 annue, che il numero di procedimenti
per ritardi è diminuito scendendo sotto il 30 % (anche se rimane la principale
causa di azioni disciplinari).
Francamente ancora poco,
specie a fronte dell’irrigidimento che le sezioni unite della cassazione hanno
dettato in questa materia.
Personalmente ho visto
alcuni dei migliori magistrati da me conosciuti condannati disciplinarmente o
assolti dopo peripezie che lasciano il segno, perché, più ancora che per un
cittadino, per un magistrato la prima pena è il processo.
LE POSSIBILI PROPOSTE
Non è con la demagogia o
diffondendo paura ed insicurezza tra i colleghi che andremo da nessuna parte. E
il governo autonomo della magistratura è un bene troppo prezioso per tutti noi per
buttarlo a mare.
Non credo a proposte che
incidano sulla struttura della sezione disciplinare. Anzi una struttura
autonoma dal CSM rischia di essere ancora più lontana dai magistrati, quando
una delle caratteristiche del giudice disciplinare deve essere proprio quella
di essere al passo con lo stato dell’arte dei vari mestieri di magistrato e di
capire contesti e situazioni. Non solo, ma pensare ad una struttura che si
occupi solo di disciplinare è un inevitabile invito suicida a moltiplicare i
procedimenti.
Credo invece si possano
fare e chiedere alcune cose subito:
Un archivio
giurisprudenziale trasparente e ragionato disponibile per tutti, perfezionando
quello già reperibile sul sito della cassazione.
Aprire un confronto
giurisprudenziale. Le decisioni della sezione disciplinare e delle sezioni
unite sono giurisdizione pura, e come tali vanno rispettate, ma possono e
debbono essere discusse e criticate. A quando un appuntamento che affronti
modalità dell’azione disciplinare, giurisprudenze, loro ricadute sugli uffici ?
Fornire i dati sulle
sentenze disciplinari, sulla tipologia di contestazioni, sul loro esito. Questo
come elementare elemento di trasparenza e responsabilità.
Prevedere a livello di
circolari e di protocolli di indagine disciplinare per violazioni formali ( in
particolare per i ritardi) l’obbligo di accertare il complessivo carico di
lavoro, le difficoltà segnalate dal magistrato, la produttività comparata, gli
interventi del capo dell’ufficio per aiutare il magistrato. Perché i ritardi,
che hanno costi per il cittadino, ma anche per il servizio, sono innanzitutto
una sconfitta per l’ufficio di appartenenza e per il suo dirigente il cui primo
ruolo è quello di aiutare i propri magistrati. Non solo, ma particolare
attenzione dovrebbe essere riservata ai più giovani, onde verificare che, come
spesso tuttora avviene, non siano rimasti vittima di fenomeni di nonnismo
giudiziario.
Chiedere che il
Ministero dia in dotazione a tutti gli uffici la Banca dati misure cautelari
personali, banca dati già sperimentata anni fa e che eliminerebbe in radice il
problema dei ritardi nelle scarcerazioni.
Bando alla tradizionale
timidezza nell’affrontare il tema disciplinare: il sistema disciplinare deve
essere uno strumento di necessaria pulizia e responsabilizzazione interna. La
sua deriva ed il suo divenire un nemico dei magistrati è pericolosa per tutti.
Claudio Castelli –
Tribunale di Milano