Documento per il Congresso
DOCUMENTO PER IL CONGRESSO
elaborato dal gruppo di lavoro costituito all'esito del seminario su "Modelli organizzativi delle Procure della Repubblica e credibilità della giurisdizione" (Roma, 3 dicembre 2011)
Curato da Bruno Giangiacomo
Redatto dai componenti dell’esecutivo di Md Teresa Iodice, Luca Poniz, Stefano Pesci e Lia Sava
e da: Eugenio Abbamonte e Fabrizio Vanorio
PUBBLICO MINISTERO, ORDINAMENTO E GARANZIE
1.- Il nuovo ordinamento e l’elaborazione del Csm sull’organizzazione delle Procure
Negli ultimi due decenni le profonde trasformazioni della società italiana e le non poche significative modifiche del tessuto normativo hanno inciso fortemente sullo “statuto” del pubblico ministero, ponendo agli Uffici di Procura –nel frattempo progressivamente assurti ad un ruolo centrale nella rappresentazione mediatica del processo- problemi inediti e talvolta straordinariamente complessi. L’ultimo passaggio rilevante di tale processo di profonda trasformazione, è rappresentato dal D.L.vo 106, che, a sua volta, ha introdotto importanti novità in materia di organizzazione degli uffici requirenti e di poteri dei Procuratori della Repubblica.
Come noto, il Csm nel corso degli anni aveva sviluppato una preziosa elaborazione in materia e nel luglio di quattro anni fa, con una importante risoluzione, aveva adottato alcune linee guida sulla organizzazione degli Uffici di Procura alla luce, per l’appunto, dell’entrata in vigore del D.L.vo 106. Ciò che è accaduto in questi quattro anni dimostra che si trattò, allora, di una scelta lungimirante.
Deve, infatti, essere ricordato che la risoluzione del 2007 stabilì alcune importanti norme secondarie dirette a valorizzare l’autonomia costituzionale del magistrato inquirente, tra cui quella (par. 3.1.b) che àncora la facoltà del Procuratore di “assegnazione” di singoli atti ai soli procedimenti da lui personalmente trattati oppure quella (par. 3.1.d.) che devolve al plenum del Csm la risoluzione del contrasto tra sostituto e dirigente sulla revoca di un procedimento. A ciò si aggiunga la conservazione nella normativa consiliare “post-riforma” dell’obbligo di motivazione per i provvedimenti di “autoassegnazione” di procedimenti.
A quella risoluzione, come è noto, sono seguiti altri importanti passaggi: in primo luogo, la risposta al quesito del 18.5.2009 posto da alcuni sostituti della Procura della Repubblica di Genova in tema di revoca di assegnazione, ché anch’essa si caratterizzò per una attenta delimitazione dei poteri del Procuratore. In secondo luogo, la risoluzione del contrasto insorto all’interno della Procura della Repubblica di Napoli, nell’ambito della quale, sempre nel maggio 2009, il Consiglio ebbe modo di escludere la possibilità di revoche implicite delle assegnazioni, anche nei casi di contitolarità del procedimento da parte del Procuratore.
Nel luglio 2009, la nuova risoluzione generale sugli Uffici di Procura ha ribadito le “linee-guida” del Csm, ferma restando la “piena potestà organizzativa” in capo ai singoli Procuratori. Su costoro, comunque, incombono precisi oneri organizzativi, tra cui quelli di istituire i gruppi di lavoro e di destinarne i sostituti con criteri trasparenti, nonché quello di definire i possibili criteri di priorità, specialmente con riguardo al principio della ragionevole durata del processo.
Per quanto concerne le assegnazioni e le relative revoche, la risoluzione del 2009, nel ribadire la valenza delle nuove norme primarie (p.es. sulla “facoltatività” delle assegnazioni automatiche), stabilisce il diritto del sostituto destinatario del provvedimento di revoca a presentare osservazioni nel termine di 10 giorni ed il potere del Csm di valutare esistenza, ragionevolezza e congruità della motivazione (salva la facoltà del Procuratore di differire l’invio delle osservazioni al Consiglio).
2.- I temi al centro della riflessione sul modello di organizzazione del Pubblico Ministero
Rimangono tuttavia sul tappeto una serie di problemi importanti, che esigono, volta per volta, interventi di orientamento e di regolazione da parte del Consiglio, vertice organizzativo dell’Ordine giudiziario.
Per rendersene conto sarà sufficiente indicare, a titolo esemplificativo, solo alcuni dei temi più delicati in ordine ai quali è indispensabile si sviluppi, nei prossimi anni, la riflessione dell’autogoverno:
A) la gestione dell'obbligatorietà dell'azione penale: per evitare che un principio fondamentale ed irrinunciabile si traduca in una vuota formula, è essenziale utilizzare in modo ragionato le risorse a disposizione ed individuare aree di trattazione prioritaria; in particolare, occorre ottimizzare gli strumenti umani e materiali, anche attraverso l'individuazione e diffusione delle buone prassi, quali l’istituzione di Uffici per gli affari a trattazione semplificata, già previsti con buoni risultati in grandi Procure, come quelle di Milano e Palermo, o l’impiego intelligente di VPO ed ufficiali di Pg opportunamente formati ed, ancora, i protocolli di udienza concordati con i sindacati del personale e l’avvocatura, importanti per avere una gestione efficiente della fase dibattimentale.
In ogni caso, finché avremo una legislazione che contraddice in pieno l’idea del “diritto penale minimo”, l’unica strada praticabile per evitare di affidare al caso scelte importanti per la vita dei cittadini, è quella delle priorità, già riconosciute ed ammesse dal Csm con le risoluzioni generali e specifiche del 9.11.2006, 15.5.2007 e 21.7.2009.
Naturalmente l’efficacia dell’adozione dei criteri di priorità è inversamente proporzionale al numero delle categorie di procedimenti prioritari, per cui dovranno certamente evitarsi elencazioni analitiche di numerose categorie di procedimenti o il ricorso a formule di definizione generiche (p. es. “casi gravi” oppure basate sull’“allarme sociale”).
Inoltre, le priorità sono compatibili con i principi costituzionali se non si distingue tra reati di serie A e di serie B, bensì tra gravità in concreto dei singoli reati (p. es. corsie preferenziali per corruzione e reati tributari di notevole entità patrimoniale o maxilottizzazioni abusive, dilazioni per contraffazioni e contrabbandi da strada e mini-tettoie senza permesso). Pertanto, i criteri della gravità in concreto del fatto tassativamente definita e del valore economico del profitto o vantaggio illecito (quest’ultimo individuato in importi consistenti) appaiono idonei ad introdurre davvero una selezione tra i procedimenti prioritari e non in quasi tutte le materie devolute alle Procure.
B) la conduzione delle indagini, il ruolo guida del magistrato requirente e i rapporti con la polizia giudiziaria; il pubblico ministero deve rimanere il motore delle indagini e mantenere il ruolo guida nelle indagini, tuttavia improntandolo a criteri di effettività.
Il nostro codice di procedura penale ha infatti conferito al Pubblico Ministero un ruolo di assoluta centralità nella conduzione delle indagini preliminari, che si riflette all’evidenza nella configurazione del rapporto con la Polizia giudiziaria. Coerentemente con le norme costituzionali poste a presidio delle libertà fondamentali –ove la riserva di legge è completata dalla riserva di giurisdizione– nella fase delle indagini preliminari, ed in relazione al compimento di atti che incidono significativamente sulle libertà personali, al Pubblico ministero è innanzitutto affidato il delicato compito di “controllo di legalità” delle attività di Polizia giudiziaria, ciò presuppone una rigorosa distinzione dei ruoli ed una ferma difesa delle prerogative del Pubblico ministero.
Come hanno mostrato recenti e reiterati disegni “riformatori”, è proprio sul versante del rapporto con la Polizia giudiziaria che si concentrano le proposte più insidiose, tese a svilire il ruolo del pubblico ministero e ad accrescere l’autonomia della polizia giudiziaria dall’Autorità giudiziaria. E’ del tutto evidente come una difesa ferma dell’attuale modello passi anche attraverso un esercizio, in concreto, dei poteri di iniziativa del Pm e di controllo da parte di questo dell’operato della Pg., capace di garantire un costante equilibrio tra il rispetto dei principi di legalità e l’efficacia dell’attività investigativa. Ciò presuppone una rigorosa professionalità del Pubblico ministero, capace di evitare improprie contaminazioni di ruolo, pigre trasposizioni di valutazioni o peggio apodittiche conclusioni della Polizia giudiziaria, che non di rado si annidano in perniciose prassi di “copia e incolla”, con adesioni, non sempre sufficientemente critiche, al lavoro della Polizia giudiziaria. Il modello, insomma, dovrebbe ispirarsi a quello della “collaborazione nella distinzione” (dei ruoli), valorizzando al massimo il rapporto di “dipendenza funzionale” della Pg verso il Pm, percepibile già nel tenore letterale del dettato costituzionale.
I precipitati “pratici” di un simile modello sono molteplici, in numerosi e delicatissimi momenti dell’attività del Pubblico ministero: dal rapporto con la Pg durante il “turno” (valutazioni urgenti su arresti e fermi, convalide di sequestri e perquisizioni…) a quello strettamente investigativo durante le indagini (scelte sui mezzi da impiegare, sulle intercettazioni e le loro proroghe, ad esempio…) è evidente che la “professionalità” del Pm passa anche per la sua capacità di determinazioni autonome, coerenti, logiche.
C) l'intreccio specializzazione-ultradecennalità; per le funzioni requirenti la decennalità deve essere bilanciata con meccanismi che consentono, comunque, la salvaguardia della professionalità acquisita.
Il tema della specializzazione presenta due differenti prospettive di approccio in quanto da un lato configura uno dei principali criteri di distribuzione degli affari all’interno dell’Ufficio requirente garantendo, almeno in parte, che la distribuzione stessa avvenga attraverso criteri obiettivi e predeterminati e, dall’altro costituisce, con tutta evidenza, uno strumento fondamentale per affinare la qualità del prodotto giudiziario dell’Ufficio, ottimizzare l’impiego delle risorse umane e stimolare una crescita professionale, suscettibile anche di apprezzamento in sede di valutazione periodica di professionalità e di valutazione attitudinale al conferimento di incarichi semidirettivi e direttivi.
Quanto al primo aspetto è lo stesso D.L.vo 106/2006 che all’art. 1 co. 6° lett.b) ad indicare l’individuazione di settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati requirenti coordinato da un Aggiunto o, in mancanza, da uno dei magistrati che lo compongono. Sul punto il Csm nella risoluzione del 12 luglio 2007 (par. 3.2), consiglia la costituzione di gruppi di lavoro specializzati, previa analisi dei flussi e nell’ambito di una procedura che consenta di adottare le scelte organizzative in modo partecipato e trasparente; mentre con la risoluzione del 21 luglio 2009, nel paragrafo 2.2, indica l’organizzazione del lavoro in gruppi specialistici quale strumento mediante il quale perseguire il “corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale nel rispetto delle norme sul giusto processo”. Nella stessa delibera vengono indicate alcune specializzazioni, ritenute particolarmente qualificanti (diritto penale dell’economia, soggetti deboli, ambiente e sicurezza dei luoghi di lavoro); viene evidenziata l’opportunità che gli aggiunti vengano incaricati di coordinare i gruppi garantendo lo svolgimento di riunioni periodiche e che vengano individuati momenti di coordinamento tra i vari gruppi che operano su fenomeni criminali interconnessi; si afferma la necessità che l’assegnazione dei magistrati ai gruppi avvenga attraverso procedure trasparenti.
A queste indicazioni sarebbe opportuno aggiungerne altre:
- che la competenza dei gruppi venga tassativamente rispettata in sede di assegnazione degli affari;
- che (come già oggetto di previsione nelle ultime circolari sull’organizzazione degli uffici requirenti antecedenti al 2006) la specializzazione venga favorita anche nelle Procure di ridotte dimensioni prevedendo non gruppi ma, eventualmente, specializzazioni individuali, con rotazioni periodiche;
- che vengano incentivate, in caso di crimini che coinvolgono differenti specializzazioni, co-assegnazioni di magistrati appartenenti a gruppi diversi oltre che forme stabili di coordinamento intergruppo (ad esempio tra i gruppi che si occupano di tributario, Pubblica amministrazione e crimine economico, ovvero tra i gruppi impegnati nel contrasto alla criminalità comune e la DDA, ecc.) al fine di favorire strategie di contrasto calibrate alla reale complessità dei fenomeni criminali ed evitare competitività disfunzionali e invasioni di campo più o meno inconsapevoli;
- che vengano favoriti e poi rigorosamente rispettati criteri prevalentemente automatici di assegnazione degli affari specialistici ai magistrati componenti del gruppo.
In buona sostanza, trattandosi del criterio di assegnazione oggettiva più qualificante previsto dal legislatore, sarebbe opportuno favorirne la massima estensione e renderne più trasparente ed efficace il funzionamento.
Quanto alla specializzazione quale strumento di organizzazione virtuosa del lavoro dell’ufficio e di promozione delle professionalità dei magistrati che lo compongono, le risoluzioni consiliari sopra ricordate evidenziano come la scelta delle aree specialistiche debba essere guidata dalle esigenze di contrasto ai fenomeni criminali del territorio ed essere attagliata alle reali dinamiche delle relative manifestazioni. In tal senso le scelte strutturali non possono che essere precedute da una attenta rilevazione qualitativa e quantitativa dei flussi delle notizie di reato, prevedendo, se del caso, l’accorpamento in un unico gruppo di materie collegate quando le reali dinamiche criminali evidenziano una corrispondente interconnessione; mentre la selezione dei magistrati deve avvenire prendendo in esame le attitudini e le pregresse esperienze professionali di ciascuno.
Anche in questo caso le indicazioni consiliari possono essere incrementate prevedendo:
- che la dimensione di ciascun gruppo sia numericamente commisurata, non solo e non tanto al mero dato quantitativo degli affari, desumibile dalla rilevazione statistica, ma all’effettiva onerosità media dei procedimenti specializzati;
- che la composizione del gruppo sia preordinata a favorire la compresenza di magistrati già esperti e di magistrati che si avviano a specializzarsi nel relativo settore; ciò al fine di favorire un fruttuoso scambio di esperienze professionali e ad evitare che, in occasione dei periodici ricambi, il gruppo non abbia a subire una caduta di efficacia e di professionalità dovuta al simultaneo allontanamento dei magistrati più esperti;
- che non venga consentita la partecipazione esclusiva del magistrato a gruppi (quali ad es. esecuzione penale o affari civili) che non consentano l’espressione di tutte le differenti attitudini professionali delle quali si compone la funzione del Pm (conduzione delle indagini, redazione degli atti, partecipazione alle udienze ecc.); ciò al fine di favorire una formazione equilibrata e di consentire una piena valutazione professionale ed attitudinale nei successivi passaggi di carriera;
- che, attraverso la valutazione dei flussi e dell’effettiva onerosità media dei procedimenti assegnati a ciascun gruppo specialistico, vengano predisposti meccanismi di reale bilanciamento dei carichi di lavoro tra i magistrati dell’ufficio che siano inseriti in gruppi diversi, operando sull’assegnazione compensativa dei procedimenti ordinari o sulla combinata assegnazione a più gruppi;
- che venga favorita una trattazione snella degli affari semplici, che gravano la maggior parte delle aree specialistiche, mediante servizi centralizzati che coinvolgano competenze di Pg e di segreteria e che venga incentivata la costituzione, nell’ambito delle sezioni di Pg, di gruppi di ufficiali ed agenti a loro volta specializzati in vista di una collaborazione prevalente con ciascuno dei gruppi nei quali è strutturato l’Ufficio requirente.
Anche in questo senso l’impegno deve essere, quindi, rivolto alla massima esaltazione di questo efficace strumento di razionalizzazione dell’organizzazione e di valorizzazione professionale intervenendo sui fattori distorsivi e disfunzionali che pure, talvolta, evidenzia se non ben calibrato alle reali esigenze dell’Ufficio.
D) il ruolo dei Procuratori Aggiunti che deve essere riempito di contenuti; essi dovranno assumere, fra le altre, una funzione propositiva per la circolazione delle informazioni all'interno dell'ufficio e per la creazione delle buone prassi.
La riforma ha ridisegnato i poteri del Procuratore della Repubblica.
In tale quadro, il ruolo del Procuratore Aggiunto assume un rilievo decisivo per conservare la gestione partecipata e democratica degli Uffici di Procura e per evitare satrapie dei Capi degli uffici. Per tale motivo, il Procuratore Aggiunto, soprattutto nei grandi uffici, deve essere l’anello di congiunzione fra le esigenze dei sostituti e le decisioni organizzative del Procuratore; deve essere il fattore di sviluppo della professionalità dei colleghi e dell’uniformità dell’esercizio dell’azione penale, promuovendo e facendosi protagonista di riunioni periodiche del gruppo che coordina, incrementando i protocolli investigativi ed i protocolli organizzativi che facilitino i rapporti con gli altri uffici giudiziari, l’avvocatura, la cancelleria; deve facilitare la conoscenza interna delle indagini, lo scambio delle informazioni fra i colleghi, le riconversioni dei sostituti da un gruppo all’altro al fine di non rendere traumatici gli avvicendamenti decennali.
E) i rapporti con la stampa e, più in generale, la questione legata alla gestione delle notizie in possesso della procura in ragione delle attività di indagine: il capo dell'ufficio ed i procuratori aggiunti dovranno curare il rispetto e l'osservanza delle regole in materia di rapporti con gli organi di stampa al fine di evitare sovraesposizioni mediatiche del singolo che pregiudicano il buon andamento delle indagini.
L'art. 5 D.lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 sancisce che, negli Uffici requirenti, i rapporti con gli organi di informazione devono essere curati personalmente dal Procuratore della Repubblica o da un unico magistrato dell’ufficio a ciò delegato.
La finalità della nuova disposizione è, da un lato, quella di limitare il numero dei magistrati requirenti che possono intrattenere legittimamente rapporti con gli organi di informazione e, dall’altro, quella di arginare la personalizzazione massmediatica delle indagini, al fine di attribuirne lo svolgimento, in modo impersonale, all’Ufficio.
Ma se questi sono i canoni ispiratori del nuovo sistema, non può sottacersi che la corretta e completa informazione sull'attività dell'Ufficio requirente è essenziale per salvaguardare il diritto di cronaca ed il controllo pubblico sull'operato della magistratura che sono valori imprescindibili in un sistema democratico. In sostanza, se i magistrati non appositamente delegati non possono rilasciare dichiarazioni e non devono fornire notizie agli organi di informazione relative all'attività giudiziaria dell'ufficio, di contro è evidente che solo i magistrati titolari delle indagini posseggono il bagaglio di conoscenze essenziale per una corretta circolazione delle notizie nel circuito giornalistico. In particolare, negli Uffici di grandi dimensioni, contraddistinti da gravi emergenze criminali, l'interesse generale ad una corretta informazione importa che la fonte ufficiale della notizia possieda una conoscenza il più possibile approfondita dei fatti, tale da poterne individuare anche i limiti di ostensibilità. Ed è di tutta evidenza, altresì, che tale approfondita conoscenza dell'indagine e dei singoli atti non può essere patrimonio del solo Procuratore capo o dell'unico magistrato delegabile a tale incombenza. Ne consegue che, per gli Uffici requirenti di grandi dimensioni, devono essere valorizzati i principi richiamati dall'art. 21 Cost. con riguardo ad un'informazione il più possibile corretta, volta a salvaguardare le garanzie delle persone coinvolte nelle indagini. In questo senso, un ruolo importante e significativo può essere svolto dai Procuratori Aggiunti. Invero, ben potrebbe rilasciarsi dal Procuratore della Repubblica l’apposita delega di cui all’art. 5 D.L. 106/2006 ai Procuratori Aggiunti coordinatori delle sezioni alle quali appartengono i magistrati assegnatari delle indagini. Ne consegue che, qualora venga convocata una conferenza stampa, a questa potranno partecipare i Procuratori Aggiunti coordinatori del dipartimento nel cui alveo è maturata l’indagine, per affiancare o sostituire il Procuratore capo. In quest’ottica, i sostituti assegnatari, che non possono partecipare alla conferenza stampa, dovrebbero aiutare i Procuratori Aggiunti delegati (o direttamente il Procuratore capo), a predisporre il comunicato stampa da diffondere in merito alle indagini più rilevanti per le quali occorra salvaguardare il diritto di cronaca. Ciò consentirebbe un temperamento della gerarchizzazione dei rapporti tra il Procuratore Capo ed i sostituti, una corretta diffusione delle notizie che sarebbero veicolate dal magistrato che ha curato le indagini (coinvolto e, quindi, responsabilizzato, nella preparazione della conferenza stampa, offrendo elementi informativi ai fini della redazione dei testi e dei comunicati), ma, al contempo, impedirebbe eccessi di personalizzazione e di protagonismo nell'esercizio delle funzioni requirenti. In sostanza, anche nei rapporti con gli organi di stampa e, più in generale, nella delicata sfera della vigilanza in merito all’osservanza delle disposizioni dell’art.5 dl.106/2006, il ruolo dei Procuratori Aggiunti ben potrebbe essere valorizzato per un efficace contemperamento della gerarchizzazione con i principi costituzionali e sarebbe utile, ad un tempo, per arginare derive personalistiche che finiscono per compromettere, irrimediabilmente, non solo le indagini ma l’immagine stessa della magistratura requirente.
3. – Quale ruolo per il CSM nella valutazione dei criteri di organizzazione delle Procure?
Su tutte questa materie, e su altre ancora, il Csm può e deve svolgere un ruolo essenziale di direzione ed orientamento. Ruolo che non implica affatto l’adozione di una risoluzione “omnibus” (in sè estremamente complessa) ma che può viceversa meglio maturare attraverso i contenuti di una molteplicità di interventi: dalle motivazioni nelle procedure di conferma alla risoluzione di quesiti; dai criteri di selezione dei concorrenti ad un ufficio direttivo alle valutazioni di professionalità, e così via.
In un contesto normativo che ha spostato l’asse dell’intervento regolatore del Csm dagli atti all’attività ed al complesso della figura del Procuratore, un ruolo efficace e penetrante di orientamento, potrà e dovrà essere svolto dall’organo di autogoverno principalmente con interventi sui criteri organizzativi e sulle prassi; è pertanto indispensabile che il Csm disponga di un quadro sufficientemente esteso ed approfondito della situazione degli Uffici, delle prassi che si sono nel frattempo instaurate, dei moduli organizzativi adottati. A tal fine occorre che sia avviata sin da subito una approfondita ricognizione sui territori, avendo presente che le dimensioni degli uffici e la loro collocazione territoriale incidono fortemente sulle prassi e sui moduli organizzativi.
Ma al Csm si chiede qualcosa in più. Un sistema che riduca i margini di un controllo sui singoli atti ed enfatizza “in cambio” il ruolo della verifica in ordine alla gestione dell’ufficio, può funzionare solo se tutto il sistema dell’autogoverno opera in modo efficace e virtuoso: valutazioni di professionalità rigorose, selezione dei direttivi e semidirettivi imperniata su attitudini e qualità dei concorrenti, procedimenti di conferma incisivi ed approfonditi rappresentano, nel quadro attuale, un presupposto essenziale per mantenere al Csm un ruolo effettivo nel “governo” degli Uffici di procura. E’ indispensabile una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa entrata in vigore nel 2006: ad ogni attribuzione di potere deve corrispondere una precisa responsabilità. In questo quadro, inoltre, peculiare attenzione dovrà essere indubbiamente posta sulla necessità che non si affermi un’interpretazione del D.L.vo 106 in chiave gerarchica ed autoritaria: spetta in primo luogo all’autogoverno l’onere di delineare il profilo virtuoso che deve connotare la nuova responsabilità dei Procuratori della Repubblica: in particolare dovrà esplicitamente esser sottolineato il carattere eccezionale e “di extrema ratio” del ricorso a strumenti regolativi quali il potere di revoca, il cui esercizio si presta collidere con il rispetto dell’autonomia professionale del sostituto.
4.- Criteri organizzativi, ruolo responsabilità e garanzie dei sostituti procuratori
La posizione della magistratura progressista rispetto ai meccanismi di funzionamento degli Uffici requirenti e del rapporto fra procuratore e sostituti deve essere ripensata alla luce dei cambiamenti registrati negli ultimi decenni.
In passato le Procure erano luoghi caratterizzati da forte gerarchizzazione, nei quali la concentrazione del potere in poche mani spesso produceva decisioni non trasparenti e scelte di politica giudiziaria consonanti più con le aspettative del potere politico ed economico che con i principi cardine della giurisdizione, primo fra tutti il principio di uguaglianza.
Il rigore e la tenacia con cui la magistratura progressista ha combattuto per la creazione di un sistema di potere diffuso e per l’affermazione di modelli di gestione improntati alla trasparenza all’interno degli Uffici di procura, mediante meccanismi automatici di assegnazione degli affari e attraverso la compressione dei poteri di avocazione e controllo dei capi, ha consentito la sostanziale realizzazione, in concreto, di quei principi di autonomia e di indipendenza che erano stati, fino ad allora, non di rado solo declamati. E si può dire che il controllo di legalità, che ha prodotto un significativo salto di qualità nel contrasto alle mafie ed alla criminalità politica ed economica, sia stato senza dubbio frutto anche delle nostre battaglie e dei cambiamenti che hanno prodotto negli Uffici requirenti.
Non possiamo però nasconderci che la generale affermazione di un potere diffuso non ha determinato solo effetti positivi sul sistema: eccessi di protagonismo, iniziative eccentriche, Uffici privi di coerenti linee di politica giudiziaria producono determinazioni opposte in casi identici, realizzando visibili distonie che hanno finito per disorientare l’opinione pubblica. In altre parole si è confusa, talvolta, l’autonomia e l’indipendenza con una sorta di onnipotenza incontrollata.
La consapevolezza del fatto che la necessità di porre rimedio a questi eccessi sia stata solo il pretesto per il tentativo di reintrodurre, attraverso la riforma del 2006, un sistema gerarchico capace di riportare la magistratura agli anni 70 non deve farci dimenticare che quegli eccessi ci sono stati.
La risposta deve essere quella di coniugare autonomia e responsabilità, non disconoscendo al Capo dell’ufficio il potere di decisione finale ma condizionandolo ad una gestione condivisa, trasparente e partecipata dell’ufficio.
Ciò significa:
- predeterminazione rigorosa dei criteri di assegnazione degli affari che ne garantiscano una distribuzione equa e razionale attraverso un’automaticità temperata da deroghe motivate e trasparenti;
- istituzionalizzazione ed effettiva realizzazione di riunioni periodiche, anche all’interno dei gruppi, capaci di garantire una discussione ragionata e condivisa delle linee organizzative e giurisprudenziali;
- effettiva realizzazione di meccanismi trasparenti di gestione e risoluzione degli eventuali contrasti fra capo e sostituti che consentano agli organi di autogoverno locale e centrale di verificare il corretto operato dei magistrati coinvolti e di tenerne conto in sede di valutazione di professionalità e di conferma degli uffici direttivi.
Se in questa direzione appaiono muoversi le delibere del Csm del luglio 2007 e 2009, l’intervento consiliare del settembre 2011 appare non pienamente consapevole delle acquisizioni precedenti nel momento in cui non valorizza adeguatamente le modalità dialettiche e trasparenti attraverso le quali il Procuratore può determinarsi all’esercizio del potere di revoca.
In proposito, deve ribadirsi la centralità per Md di proporre un’interpretazione diversa della normativa sulla revoca dei procedimenti, ricollegandola a violazioni oggettive dei criteri previamente definiti dal dirigente, allo scorretto esercizio dell’azione penale oppure ad attività del sostituto in contrasto con “l’evidenza processuale e giurisprudenziale”.
5. - Pubblico mistero e garanzie nel processo
Uno dei temi storicamente centrali nell’elaborazione di Md è quello delle “garanzie” e il rispetto dei diritti degli indagati ed imputati. E’ evidente che trattasi di principio fondamentale e, allo stesso tempo, di categoria cosi ampia e processualmente complessa da non consentire, in questa sede, una precisa individuazione di tutte le implicazioni che essa ha nella quotidiana gestione dei procedimenti e processi penali.
Ma ci pare fondamentale affermare e ribadire che la difesa dell’attuale assetto del Pubblico ministero nell’ordinamento costituzionale e processuale e l’opposizione a ricorrenti proposte di riforma del suo statuto e dei suoi poteri in tanto riesce credibile e plausibile in quanto il Pm sappia farsi carico dell’insieme dei compiti che l’ordinamento gli assegna, ivi compreso quello, invero non sempre rispettato, di svolgere “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
Se è vero, come abbiamo sempre sostenuto, che la locuzione di parte-imparziale del Pm non è un ossimoro, ciò significa che in concreto il Pm deve improntare il proprio ruolo - cominciare dalla fase delle indagini nelle quali ha un evidente dominio– a criteri di imparzialità, di rigorosa verifica critica di ogni ipotesi accusatoria e dello stesso materiale investigativo, proprio in questa fase ponendosi le già accennate esigenze di distinzione rispetto al lavoro della Polizia giudiziaria.
Riteniamo che il rispetto delle garanzie e dei diritti sia una delle fondamentali condizioni di legittimazione del potere giudiziario, e, in esso, del ruolo del Pm anche per come esso è andato assumendo crescente visibilità ed importanza.
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