Noi e Medel
Dichiarazione sugli attacchi contro la magistratura italiana
MEDEL esprime forte preoccupazione per gli attacchi pubblici e la campagna mediatica in corso contro la magistratura a seguito delle decisioni emesse dalla sezione della protezione internazionale del Tribunale di Roma in relazione ai primi casi di applicazione del cd. Protocollo Italia-Albania.
Tale allarme è aggravato dagli attacchi portati, “by naming and shaming”, ad uno dei giudici della sezione per le posizioni espresse nel dibattito pubblico e nell’impegno associativo sul tema dei migranti e dei diritti fondamentali.
Come già chiarito nel comunicato stampa del Presidente della sezione competente, sei giudici non hanno convalidato i trattenimenti dei migranti in applicazione dei principi enunciati dalla recente pronuncia della CGUE del 4 ottobre 2024, emessa a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal giudice della Corte di Brno: in particolare, il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi, equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane, è stato motivato con l’impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute e, dunque, con l’ assenza del presupposto necessario per la procedura di frontiera e per il trattenimento delle persone migranti. Le motivazioni delle decisioni confermano chiaramente che i giudici hanno richiamato l’applicazione vincolante dei principi della Corte di Giustizia e della normativa dell’Unione Europea, costituita dalle direttive in materia di accoglienza, ritenuta prevalente sul diritto nazionale contrastante rispetto al tipo di procedura utilizzata dall’amministrazione statale per l’esame delle richieste di protezione internazionale.
A fronte di tali motivazioni e della circostanza che molto chiaro è il principio alla base delle stesse, rappresentato dal primato inderogabile del diritto dell’Unione Europea, l’accusa ai magistrati di aver sconfinato dai loro poteri e di aver agito per finalità di opposizione politica al governo, rappresenta un attacco molto grave all’ indipendenza della magistratura nonché al principio stesso di separazione dei poteri.
Le esperienze di regressione dello stato di diritto vissute in questi anni in Europa, come quella della Polonia, ci hanno dimostrato come mettere in discussione il ruolo dei giudici nazionali nell’applicare il diritto dell’Unione e farne valere il primato, rappresenti un grave rischio per la tenuta di tutto il sistema legale e di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali su cui si fonda l’Unione Europea.
Nell’esprimere sostegno e solidarietà ai magistrati oggetto degli attacchi in corso, MEDEL riafferma che il rispetto della separazione dei poteri e dei principi dello stato di diritto, pilastri della democrazia, esige:
che la critica alle decisioni dei giudici, specie se portate da autorità pubbliche ed esponenti del governo o delle istituzioni, non diventi mai pericolosa delegittimazione della loro funzione, con l’accusa strumentale di parzialità o di abuso del proprio potere per finalità politiche;
che gli altri poteri dello stato rispettino la funzione costituzionale dei giudici, che è quella di essere sempre garanti imparziali dei diritti fondamentali di tutte le persone, applicando le norme primarie e le fonti sovraordinate a quelle nazionali;
che le autorità nazionali rispettino il ruolo che i giudici svolgono in quanto giudici “europei”, chiamati a garantire l’applicazione effettiva ed uniforme del diritto dell’Unione nonché la sua prevalenza su quello nazionale difforme;
che l’indipendente esercizio delle funzioni giudiziarie non sia messo a rischio da attacchi portati ai singoli magistrati e alle loro decisioni perché ritenute non in linea con le scelte fatte da qualsivoglia maggioranza politica, o da improprie pressioni ed influenze, esercitate con attacchi diretti ai singoli magistrati e con campagne mediatiche mirate sulla loro persona;
che sia rispettato il diritto di parola dei magistrati e delle loro associazioni giudiziarie, messo a rischio dall’utilizzo strumentale ed improprio della loro partecipazione al pubblico dibattito sullo stato di diritto e sui diritti fondamentali.
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