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Critiche e linciaggi. In difesa della giurisdizione
Il gruppo di Magistratura democratica ha presentato al Cdc, riunitosi oggi e domani in Cassazione, un documento molto forte.
Continuano e aumentano di intensità gli attacchi rivolti ai giudici delle sezioni immigrazione dei Tribunali che hanno adottato provvedimenti, evidentemente sgraditi alla maggioranza di governo, relativi a migranti tunisini. Benvenute le critiche di merito, che affinano l’elaborazione giuridica, perché il confronto e la giurisdizione sono coestensivi. Non così per gli attacchi personali ai giudici che hanno deciso, dipinti come coloro che ostacolano l’azione del governo e si rifiutano di applicare le leggi. Gli attacchi si fondano su fatti estranei alla vicenda processuale: la partecipazione a manifestazioni di solidarietà, indette da associazioni del più vario orientamento; alla vita associativa; addirittura l’aver testimoniato in un processo penale a carico del proprio figlio.
Esponenti politici di primo piano di partiti di governo sono giunti alla richiesta di dimissioni dei giudici 'sgraditi'. Alcune figure istituzionali, anche dell’Esecutivo, hanno apertamente sostenuto che la magistratura deve adeguarsi alla politica del 'governo eletto', con ciò minando le fondamento del principio democratico della separazione dei poteri. Separazione che presuppone e comporta che consenso e giurisdizione viaggino su binari autonomi, perché l’affermazione e la tutela dei diritti non può dipendere da questa o quella maggioranza politica. Le vere e proprie aggressioni, provenienti anche da membri dell’esecutivo, mettono a repentaglio l’esercizio sereno della giurisdizione non solo da parte di chi ha reso quei provvedimenti, ma di tutti i magistrati, quale che sia la funzione esercitata, come del resto i commentatori più attenti hanno già evidenziato.
Si scorge un chiaro legame fra questa strategia e le riforme costituzionali in discussione che, come abbiamo già denunciato, stravolgono le fondamenta dello stato di diritto, disegnano un pubblico ministero privo di reali poteri di indagine, restituiscono un giudice che non è più soggetto soltanto alla legge ma, come lo vorrebbero già da ora alcuni esponenti dell’esecutivo, armoniosamente inserito e organico alle scelte politiche della maggioranza. L’imparzialità e l’indipendenza non presuppongono che il magistrato viva in una bolla in cui sono ammessi solo i familiari, i colleghi e qualche amico. Il magistrato è chiamato a decidere sui diritti e a dirimere i conflitti tra i soggetti che vivono nella stessa società in cui lui vive. Il cittadino magistrato pensa, ragiona e vota in base alle proprie convinzioni: la manifestazione del pensiero non può essergli preclusa, tanto più su temi generali che coinvolgono la difesa di diritti umani incomprimibili.
Sostenere, invece, che solo chi mantiene la massima riservatezza sui propri orientamenti culturali, esegetici e finanche politici, possa dirsi imparziale, significa fingere che esistano magistrati senza idee e, quel che è peggio, propagandare l’idea falsa che solo chi tace sia anche imparziale. Prendere la parola e partecipare alle vicende della società fa parte del nostro dovere di cittadini e di magistrati, rafforza la nostra presenza nella polis, non può mettere in dubbio la nostra imparzialità. Indipendenza e imparzialità non sono valori dati o acquisiti una volta per sempre. Devono essere mantenuti e dimostrati in ogni singola controversia. E il punto di tenuta, o di caduta, di questi valori, resta e non può che essere la motivazione del provvedimento.
Un provvedimento corretto, non ispirato dal desiderio di compiacere o assecondare i desideri di una parte, non diventerà sbagliato se proviene da un magistrato che abbia reso riconoscibili le idee e i valori che lo guidano. In queste ultime due settimane tutte le Giunte distrettuali dell’Anm, nelle quali prevalgono diversi orientamenti, si sono tutte pronunciate condannando l’aggressione in atto; ai deliberati delle Ges si stanno aggiungendo pronunce analoghe di numerose assemblee distrettuali.
L’Anm, però, non può limitarsi a condannare il pur deprecabilissimo scempio della vita privata e i pesanti attacchi all’indipendenza dei giudici, che diventano attacchi alla giurisdizione. È compito dell’Associazione, oltre a manifestare la piena solidarietà con tutti coloro che sono stati attaccati solo per avere compiuto il proprio dovere, pronunciando provvedimenti non in linea con le aspettative dell’Esecutivo, chiedere che l’organo di governo autonomo intervenga rapidamente a tutela della giurisdizione: il silenzio, i distinguo, i ritardi, suoneranno come condivisione degli attacchi, e la tutela dei diritti dei cittadini sarà compromessa.
Per tutte queste ragioni il Comitato direttivo centrale dell’Anm
- condanna gli attacchi degli esponenti governativi alle persone dei giudici addetti alle sezioni immigrazione;
- afferma che l’esercizio della giurisdizione non può tollerare intromissioni e critiche rivolte, anziché al merito dei provvedimenti, alle persone che li hanno redatti, alle loro vite, ai loro familiari;
- ribadisce che ciascun magistrato ha il diritto civile di esprimere il proprio pensiero e le proprie convinzioni, anche su temi di rilevanza pubblica;
- ritiene doveroso che il Consiglio superiore della magistratura porti a termine nel minor tempo possibile la pratica a tutela proposta da tredici consiglieri il 3 ottobre a seguito degli attacchi diretti a Iolanda Apostolico
- manda alla giunta esecutiva centrale dell’Anm di indire un’assemblea generale a Catania su questi temi da tenersi entro il mese di novembre.
Il Gruppo di Magistratura democratica
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