Congresso Anm
Il saluto di Anna Canepa
Si è concluso il 25 ottobre il XXXII Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati, che si è tenuto a Bari. Qui è possibile leggere la mozione conclusiva dei lavori.
Il segretario di Magistratura democratica Anna Canepa ha inviato un indirizzo di saluto al Congresso, accolto da molti applausi: "Un affetto che mi ha commosso e di cui voglio ringraziare tutti di cuore - ha commentato".
La magistratura s'impegna per costruire tutti insieme un Paese migliore, in un clima di serenità e rinnovata fiducia nelle istituzioni.
dal saluto di Anna Canepa
L'INTERVENTO DI CARLO DE CHIARA
Il presidente di Md, Carlo De Chiara, ha svolto un intervento che pubblichiamo di seguito.
XXXII CONGRESSO A.N.M.
Bari, 23-25 ottobre 2015
Cercherò di stare negli stretti limiti del tema di questa sessione: organizzazione e qualità della giustizia, condizioni e carichi di lavoro.
Non ho bisogno di spiegare, in questa sala, quali siano le condizioni in cui versa l’amministrazione della giustizia nel nostro paese. Parlo evidentemente della giustizia come servizio, non dei contenuti della giurisprudenza, che è questione altrettanto appassionante, ma diversa.
Basterà quindi solo accennare che, fatta eccezione per talune oasi più o meno felici, si registra generalmente penuria di mezzi e di spazi; numeri elevatissimi, talora abnormi, di procedimenti in relazione al numero di magistrati, cancellieri e segretari in servizio; organizzazione spesso deficitaria; conseguente lungaggine dei processi. Lungaggine cui si cerca – perlopiù invano – di far fronte con l’aumento dei numeri delle decisioni emesse, sollecitando performances quantitativamente sempre più impegnative da parte dei magistrati e del personale di cancelleria e segreteria.
Come si esce da questa situazione? E soprattutto – visto che qui siamo al Congresso dell’ANM – cosa può fare l’ANM per favorire l’uscita?
Da questa situazione, io credo, o si esce tutti assieme – magistrati, personale amministrativo, avvocati, Ministero, Parlamento – mettendo in piedi finalmente un servizio efficiente, o non ne esce nessuno. Non esista una via di uscita per i soli magistrati: i magistrati non possono dire, non possono permettersi di dire “io intanto salvo me stesso, e poi accada quel che accada”.
Nel servizio giustizia, infatti, i magistrati “ci mettono la faccia”: la faccia della giustizia siamo noi, i cittadini vedono noi e dunque sono comprensibilmente portati ad attribuire a noi la responsabilità delle inefficienze e delle storture che sono costretti a subire, anche quando la responsabilità non è nostra. Possiamo strillare quanto vogliamo che non è così, ma sarà arduo convincerli perché le evidenze sono contro di noi.
E poi la magistratura, anche quando “fa sindacato”, non può trascurare di essere una fondamentale istituzione dello stato; se vuole conservare il ruolo che la Costituzione le assegna e vuole continuare a porsi come parte della classe dirigente di questo paese, non può non darsi carico dell’interesse generale e deve, quindi, inserire le sue giuste rivendicazioni in un disegno costruttivo, che contenga sempre la prospettiva di un servizio efficiente, o comunque accettabile.
Perciò mi sembra sbagliata la proposta della definizione numerica “a prescindere” dei carichi di lavoro massimi esigibili dai singoli magistrati. Lo dico con tutto il rispetto per i colleghi e i gruppi che l’hanno formulata, ai quali riconosco anzi di aver posto un problema reale, cui però occorre dare risposte risolutive rifuggendo dalla tentazione della propaganda. Cerco di spiegare, perciò, perché non condivido quella proposta.
Essa intanto non è praticabile, perché l’evasione di un certo numero di procedimenti può essere esigibile per i magistrati di un determinato ufficio e magari inesigibile per i magistrati di un altro ufficio dello stesso tipo, ma di diverse dimensioni, o con diversa collocazione geografica e diversa qualità del contenzioso, o con una dotazione di mezzi e personale inferiore o comunque una organizzazione meno efficiente. Ce lo ha già spiegato con grande chiarezza Marcello Basilico nella tavola rotonda svoltasi poco fa a questo congresso, e dunque non aggiungo altro sul punto.
Ma soprattutto è una proposta perdente, perché ci isola dall’opinione pubblica, che non capirebbe perché l’ANM, al cospetto della drammaticità della situazione in cui versa il servizio giustizia, non riesca a fare altro che rinchiudersi nel recinto della corporazione, tutelando l’interesse dei propri iscritti senza sforzarsi di inquadrarlo e renderlo compatibile con l’interesse generale.
La magistratura associata non ha la forza contrattuale di altre categorie, come quelle del trasporto pubblico, per esempio, che possono minacciare scioperi in grado paralizzare il paese; la magistratura associata non ha altro potere contrattuale che quello derivante dalla credibilità che ha saputo conquistarsi negli anni, grazie alla quale può riuscire a indurre vasti settori dell’opinione pubblica a mobilitarsi in sostegno delle sue lotte. Perduta quella credibilità e la sponda presso l’opinione pubblica, la magistratura resta una corporazione come le altre, che il vento del cambiamento, per molti versi peraltro auspicabile, non farebbe alcuna fatica a spazzare via. E l’esperienza insegna che questo vento potrebbe anche spirare nella direzione sbagliata, quella della riduzione dell’indipendenza e dell’autonomia, indispensabili presupposti di una giurisdizione imparziale.
E’ evidente ed è pacifico che non possono essere richiesti ai singoli magistrati sforzi eccedenti le loro plausibili capacità di sopportazione; così come è evidente che l’ANM deve darsi anche carico delle difficoltà e delle ansie di molti magistrati, specie quelli che lavorano nei tribunali e specie i più giovani, stretti tra carichi di lavoro gravosi, i rigori della “legge Pinto” e l’incombente minaccia disciplinare. Ma non è affatto necessario dare a questi colleghi risposte che non tengano conto della necessità di rendere, nei limiti di quanto consentito dalle risorse date, un servizio quanto più possibile efficiente. Una programmazione della “produttività” è certamente possibile non in astratto per tutti i magistrati, ma in concreto a livello di singoli uffici, tenendo conto delle caratteristiche di ciascuno di essi; e nell’ambito di tale programmazione possono agevolmente trovare collocazione anche indicazioni sulle aspettative di “rendimento” di ciascun magistrato; fermo rimanendo, però, che l’ufficio dà all’esterno un chiaro segnale di consapevolezza della responsabilità che ha di fronte ai cittadini e che cerca, perciò, di fare quanto è nelle sue possibilità per venire incontro alle loro giuste esigenze.
Proporrei, allora, una rivendicazione ben più ambiziosa, rivolta:
- nei confronti dei dirigenti degli uffici e del CSM per l’adozione delle migliori soluzioni organizzative e la nomina di dirigenti capaci di promuoverne la ricerca e assicurarne l’applicazione;
- nei confronti del Governo e del Parlamento, affinché chiudano la stagione delle riforme della giustizia “a costo zero” e decidano finalmente di investire in questo settore non soltanto fantasia (che pure non guasta), ma anche denaro, certi che tale investimento non tarderà a dare frutti, se è vero – come è vero – che la lentezza della giustizia incide negativamente sulla competitività del sistema paese e compromette l’assunzione del ruolo spettante all’Italia in Europa.
Oggi il ministro Orlando, nel sottolineare che da almeno vent’anni nel nostro paese non si fanno investimenti nella giustizia, ha espresso l’intenzione di voltare pagina, chiedendo solo il tempo necessario per recuperare un così lungo ritardo. E’ una buona notizia, ma spetta a noi incalzarlo affinché la promessa si traduca in fatti tangibili.
A questo appuntamento l’ANM non può presentarsi divisa, ma deve assolutamente saper ritrovare le ragioni dell’unità perduta. Le declinazioni meno rigide dei “carichi esigibili”, ascoltate oggi nel corso della tavola rotonda, possono favorire l’avvio di un dialogo costruttivo. Spero che la ragionevolezza prevalga e non si insista a sventolare ad ogni costo bandiere che, forse, assicurano qualche facile consenso nell’immediato, ma non risolvono i problemi sul tappeto e, impedendone l’unità, compromettono anche la forza della magistratura associata.
Carlo De Chiara
(27 ottobre 2015)
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