La vicenda Eternit lascia sgomenti non tanto per l’esito processuale, quanto per l’infinita lista dei morti di amianto e per la tragedia delle tante famiglie coinvolte.
Tre gradi di giudizio, celebrati con una velocità esemplare, considerando la complessità e il numero delle persone coinvolte come parti civili, non sono serviti per arrivare a una sentenza che dia risposte e risarcimenti adeguati alle tante vittime e ai loro familiari.
Anche oggi abbiamo avuto la conferma che il processo penale non è sempre lo strumento più adeguato per l’accertamento di condotte sicuramente gravissime, che, in questo caso hanno devastato e continuano a devastare intere comunità per dissennate politiche industriali.
I magistrati della Cassazione chiariranno i passaggi fondamentali del percorso logico che li ha portati alla decisione e che verrà esplicitata nella successiva motivazione. Così come è giusto attendere l’esito delle ulteriori indagini per accertare eventuali responsabilità penali.
Ma l’esigenza di giustizia dei lavoratori esposti all’amianto non riguarda soltanto i procedimenti penali. Spetta al giudice civile e al giudice previdenziale garantire l’applicazione delle regole di giudizio per risarcire le vittime e le loro famiglie.
Spetta alle autorità amministrative e di controllo evitare che le ragioni della produzione e dello sviluppo economico prevalgano sulla tutela della salute individuale e collettiva.
Spiace, infine, che la politica si accorga solo oggi e solo dopo il clamore destato dalla sentenza, dell’importanza della riforma in materia di prescrizione nonostante le ripetute sollecitazioni della magistratura associata in questi ultimi anni.
Il Comitato Esecutivo di Magistratura democratica
(20 novembre 2014)