Civile
Comunicato Md su mediazione e sciopero avvocati
ROMA - Comprendiamo buona parte delle ragioni alla base dello sciopero degli avvocati del 16 marzo con riferimento al decreto legislativo n.287 del 2010. Mediazione e conciliazione sono una grande opportunità per la giustizia civile, ma la nuova legge tradisce le aspettative. Vengono aggravati i costi della giustizia per i cittadini, non sostenibili per non abbienti. Viene creata una obbligatorietà estesa che non consente sperimentazioni e monitoraggi. Viene snaturato il senso della conciliazione e della mediazione, prevedendo la condanna alle spese in caso di accordo non raggiunto tra le parti e poi accolto dal giudice.
Viene svilito il ruolo degli avvocati, non prevedendo la difesa tecnica. Paiono troppo generici i presidi a garanzia della imparzialità, professionalità e della indipendenza del mediatore. Un prezioso strumento di composizione sociale e di deflazione dei processi rischia di non funzionare e di diventare il luogo della rinuncia de ldiritto con forti penalizzazioni per i soggetti deboli.
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Il carcere: tra dignità umana e rieducazione
Il tasso di sovraffollamento, il numero di suicidi, le criticità nell’assistenza sanitaria espongono le persone detenute e quelle che in carcere lavorano a una quotidianità che rischia di porre in discussione i diritti fondamentali della persona e compromettere la funzione di reinserimento sociale che la Costituzione indica come coessenziale all’esecuzione delle pene.
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Fu il Tribunale speciale per la difesa dello Stato istituito nel 1926 (e ricostituito nella Repubblica sociale italiana) che inflisse agli antifascisti decine di migliaia di anni di reclusione, confino, sorveglianza speciale di polizia.
Fu il “servile e osannante conformismo” (parole di Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente) condiviso da una parte della magistratura e da buona parte delle “alte magistrature” immortalate nella cronaca dell’apertura dell’anno giudiziario del 1940 mentre acclamano il duce che riceve i capi degli uffici giudiziari a Palazzo Venezia.
La democrazia costituzionale esige che il quadro normativo che regola lo svolgimento della funzione giusrisdizionale non diventi lesione del ruolo costituzionale della giurisdizione; e che, nell’intera loro attività, i magistrati riescano a “essere la Costituzione” rifiutando il conformismo, non nelle sue ultime e drammatiche esternazioni ma sin dalle sue prime manifestazioni.
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I compiti che il CSM dovrà svolgere per attuare la riforma della dirigenza giudiziaria consentono, se lo si vorrà, di dare strumenti per la trasparenza e la leggibilità delle scelte, che valorizzando la scelta di criteri generali piuttosto che di criteri sulla singola nomina, può consentire di combattere l’indispensabile battaglia contro il carrierismo e il clientelismo da troppo tempo rimandata.