Tutti, dirigenti compresi, hanno approvato all’unanimità un documento nel quale si sottolinea a chiare lettere come l’iniziativa del Ministro costituisca un inedito, e quanto mai pericoloso, uso strumentale dell’iniziativa disciplinare per intaccare le prerogative di autonomia e di indipendenza della magistratura, affermando un inammissibile sindacato politico su provvedimenti giudiziari fisiologici e motivati, la cui eventuale impugnazione e correzione è, e deve restare, interna alla giurisdizione e sottratta al potere politico, vieppiù in casi in cui il Ministero è parte del procedimento e ben può ivi fare sentire la sua voce.
La presenza ieri, 27 aprile, nella stessa Aula Magna, del Ministro della Giustizia nel corso di un evento dedicato all’auspicabile prossima istituzione a Milano della terza sede del Tribunale unificato dei brevetti, rappresentava una giusta e doverosa occasione di puntualizzazione di quanto accaduto e di riaffermazione, da parte della magistratura milanese, della sua dirigenza e della sua rappresentanza associativa, delle ragioni di preoccupazione e di protesta nei confronti di quell’iniziativa disciplinare, così convintamente espresse pochi giorni prima, visto che è stato lo stesso Ministro ad affrontare la questione in quella sede.
Senza nulla togliere all’importanza dell’evento, la presenza del Ministro non poteva e non doveva essere esautorata dal peso della rappresentanza politica di quella pericolosa iniziativa disciplinare, soprattutto alla luce del fatto che, nella settimana intercorsa tra l’assemblea del 19 aprile e l’evento di ieri, il Ministro ha ribadito in diverse sedi, istituzionali e mediatiche, la propria convinzione in merito, senza muovere alcun passo indietro e anzi assumendo a tratti, in particolare nel corso della relazione al Parlamento, un atteggiamento persino irridente nei confronti dei giudici attinti dall’iniziativa disciplinare in questione.
Le immagini dell’evento di ieri e le dichiarazioni fatte dallo stesso Ministro, e da alcuni dirigenti, vogliono invece restituirci il quadro di una quasi esibita ed eccessiva cordialità, spinta oltre i protocolli di visita istituzionale, per accompagnare una narrazione di composizione e di rassicurazione che, crediamo, non corrisponde alla realtà percepita dall’intera Magistratura.
Non possiamo “sentirci rassicurati” dalle generiche petizioni di principio del Ministro sul rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, quando l’azione politica si muove in senso contrario: nessun ripensamento, e anzi convinta insistenza, sul procedimento disciplinare e, negli stessi giorni, l’annuncio di un nuovo disegno di legge che vuole perseguire l’esiziale progetto di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, colpendo il cuore della nostra cultura giurisdizionale e del sistema di equilibri costituzionali, per inseguire il disegno, fortemente voluto anche da una parte dell’avvocatura associata, di politicizzazione (e di un conseguente maggiore controllo) della magistratura requirente.
Di fronte a tutto questo la domanda che viene spontanea è chi parla per noi? I dirigenti di uffici di eccellenza come quelli milanesi (rispetto, peraltro, alle poche risorse riversate sul resto degli uffici giudiziari italiani) o la voce corale ‒ ma forse ingenua a questo punto? ‒ di un popolo di magistrate e di magistrati che, attraverso la sua associazione, non guarda al colore del Ministro o alla sua provenienza dalle nostre stesse file per denunciare pericolose derive verso una Magistratura sempre più condizionata dalla politica e quindi verso una cittadinanza sempre meno garantita e libera?
L’abbassamento della voce spesso costituisce un segnale di un malessere più occulto e grave; non lasciamola cadere nel vuoto e torniamo a farla sentire.
L’esecutivo di Magistratura democratica