Candidatura per il Congresso

Candidatura per il Congresso

di Esecutivo di Magistratura Democratica
L'Emilia Romagna propone Anna Mori

SEZIONE EMILIA ROMAGNA

PROPOSTA DI CANDIDATURA PER IL CONGRESSO

 

La sezione Emilia-Romagna nell’assemblea del 21 gennaio 2013 ha deliberato di proporre al Congresso la candidatura di Anna Mori per il rinnovo del Consiglio nazionale. L’assemblea riconoscendosi negli spunti e nelle idee espressi nel documento di Anna Mori ha deliberato di inviarlo al Congresso.


IL DOCUMENTO

Carissimi, voglio innanzitutto premettere che ritengo doveroso che la mia disponibilità alla candidatura al Consiglio Nazionale (peraltro frutto di lunghe riflessioni e di un po’ di travaglio) sia oggetto di un necessario contraddittorio in assemblea e che debba essere espressione della nostra sezione, e dell’attività che in questi anni abbiamo portato avanti.

Detto ciò, ritengo necessario chiarire come vivo Md e ciò che secondo me dovrebbe essere.

Assisto, come credo tutti noi, a volte sgomenta ad un allarmante arretramento sul fronte della tutela dei diritti, reso più drammatico dalla crisi economica che stiamo vivendo. E’ come se si tornasse a mettere in discussione su tutti i fronti, ma in particolare su quello del lavoro, un patrimonio di tutela che consideravamo ormai dato per acquisito.

E’ in atto un’erosione dei fondamentali, il diritto di lavorare e non ammalarsi; di lavorare e non morire; di lavorare e poter mettere al mondo e crescere figli; di lavorare con quella stabilità necessaria ad operare le proprie scelte di vita.

Siamo costretti ad infliggere una pena detentiva o ad applicare misure cautelari che costringeranno il malcapitato a vivere ristretto in condizioni infernali, che poco o nulla hanno a che vedere con la funzione rieducativa ed anzi che spesso producono l’effetto contrario; in un carcere che sempre di più assomiglia ad una discarica sociale dove nascondere tutto ciò che è scomodo e che la politica è sempre meno in grado di affrontare. E questa questione è strettamente legata alla prima, perché maggiore è il disagio sociale e più frequente diventa la devianza.

Siamo indietro anni luce rispetto alle altre democrazie occidentali sulla tutela della dignità e libertà degli individui indipendentemente dal loro orientamento sessuale; sulle scelte di fine vita; sui grandi temi della bioetica, dei quali come Md parliamo, secondo me, troppo poco. Viviamo in un ordinamento che tutela quasi a forza la vita, o ciò che ritiene debba intendersi per tale, prima della nascita o quando forse sei biologicamente già morto e se ne frega altamente e contraddittoriamente della qualità di tutto ciò che c’è in mezzo.

E, soprattutto, viviamo in una società che non è più in grado di attuare la seconda e meravigliosa parte dell’art. 3 della Costituzione, quella sulla rimozione degli ostacoli ad una vera eguaglianza, intesa come parità di opportunità di accesso indipendentemente dal censo e dal ceto sociale al quale si appartiene.

Io credo che in questa fase storica essere di sinistra (e tale orgogliosamente mi proclamo, senza pensare che questo leda l’imparzialità del mio giudicare quotidiano) significhi anche pensare che forse si può far camminare un po’ meno velocemente chi sta avanti nella fila, se questo serve a non perdersi per strada i più lenti, quelli che per definizione stanno dietro. Che significhi che è meglio arrivare in cima tutti quanti, magari più tardi, che arrivarci prima ma in pochi, lasciando i compagni di cammino a crepare per la strada.

In tutto ciò credo che Md possa fare ancora molto e che mai come in questo momento storico la giurisdizione abbia bisogno di Md.

E credo che abbia più che mai bisogno di Md anche Area. Credo che la sacrosanta elaborazione che è in atto sull’organizzazione, sull’efficienza degli uffici, sulla scelta dei dirigenti sia destinata a rimanere un contenitore vuoto e sterile se non abbiamo ben chiaro che il criterio ispiratore del nostro modo di vivere la giurisdizione dev’essere, anche, quel famoso articolo 3, che ci dice che in un ordinamento democratico le regole servono, anche e soprattutto, a tutelare i più deboli, perché i più forti sanno benissimo tutelarsi da soli.

Già, AREA.

La vivo come una realtà in divenire, nella quale già esiste una piattaforma di contenuti comune sulla quale lavorare, ma nella quale dovremmo cercare di travasare quel senso profondo della giurisdizione che dicevo prima, che fa parte del nostro DNA irrinunciabile, e rispetto al quale le differenze di sensibilità secondo me sono a volte ancora molto marcate. Per cui dico: costruiamo sulle sinergie che già esistono; cerchiamo di costruirne di nuove sui temi che ci stanno a cuore, ma sui fondamentali non abdichiamo. Dove però si lavora insieme, cerchiamo che sia “insieme” veramente, senza diffidenze, senza ragionare in termini di “noi” e “loro”; senza cadere nell’ottica sterile del fregare ed essere fregati. Se no non andiamo da nessuna parte, ed anzi, ci blocchiamo ancora prima di partire.

Last but not least, le donne. Forse sbaglio, ma sono profondamente convinta che esista tuttora, nel paese ed anche nelle nostre aule, un problema di genere. Riconducibile, sempre per parlare di art. 3, non alla prima, ma alla seconda parte, ovvero ad una reale parità di accesso alle opportunità. Io non solo non voglio essere chiamata “giudichessa” da nessuno (come pure mi dava molto fastidio, agli inizi della carriera, essere denominata “piemmina”, neologismo che nessuno si sarebbe mai sognato di affibbiare ad un collega uomo di pari anzianità), ma vorrei vivere in un ordinamento che mi garantisce di poter accedere ad ogni posizione, sulla base della capacità e delle attitudini individuali, senza costellarmi nel quotidiano la strada di ostacoli di ogni tipo e, soprattutto, che mi permette di potere, con termine trendy che trovo odioso ma efficace, di declinare al femminile la mia funzione, il mio rapporto con il potere, la mia visione del mondo che è forse diversa da quella di un collega uomo, posto che per poter funzionare bene la giurisdizione ha bisogno di entrambi gli approcci.

Ecco, io vorrei un’ Md che parla di tutto ciò in Area; nelle istituzioni delle quali è parte (a cominciare dai Consigli Giudiziari e dal Csm) proponendo un modello di magistrato ispirato a quei principi; nella società civile; un’Md fatta di magistrati che vivono tutto questo nel quotidiano delle loro scelte e che su questo, dentro e fuori, si confrontano.

Ringrazio chi è arrivato alla fine di questo scritto.

Anna Mori

 

23/01/2013

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