L’ennesima riforma
contro i lavoratori.
La riforma studiata dal governo Monti rappresenta l’ennesimo,
e forse definitivo, passo indietro nella tutela dei diritti dei lavoratori,
questa volta attraverso un attacco diretto all’art. 18 dello Statuto dei
Lavoratori.
Nonostante la grave crisi occupazionale, la
immobilità decennale dei salari, le forti dosi di flessibilità, la compressione
delle prerogative sindacali, l’art. 18 continuava ad essere strumento e simbolo
della tutela di chi lavora.
Adesso anche questo baluardo sarà eliminato e
insieme ad esso la forza dei lavoratori di far valere i propri diritti perché
il pericolo di perdere il posto di lavoro, pur senza alcuna legittima
giustificazione, non solo diventa concreto ma anche irrimediabile.
La riforma illustrata dai componenti del governo non
è chiara nei suoi contenuti, è anzi confusa, specie sulle nuove tutele che
afferma di riconoscere ai lavoratori.
La nullità dei licenziamenti discriminatori e il
diritto alla reintegra, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa, fanno
parte del nostro ordinamento fin dalla legge 108/1990 e il limite dei 36 mesi
come tetto di legittimità dei contratti a tempo determinato è fissato da tempo
nel decreto legislativo 368/2001.
La riforma del 2012 cancella del tutto la reintegra
nei casi di licenziamenti per motivi economici.
Cancella la reintegra nei licenziamenti per giusta
causa e giustificato motivo soggettivo, eccetto i casi in cui il lavoratore non
abbia commesso il fatto o abbia commesso un fatto punibile, in base al
contratto collettivo, con sanzione conservativa.
La riforma cancella la reintegra per i licenziamenti
intimati in costanza di malattia o a causa della inidoneità fisica o psichica
del lavoratore.
La riforma cancella la reintegra nei licenziamenti
irrogati senza forma scritta e persino senza
possibilità di esercitare il diritto di difesa, secondo la procedura prevista
dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Chi è stato licenziato illegittimamente, cioè in
contrasto con le previsioni di legge, non avrà più diritto di tornare in
fabbrica, di riprendere il lavoro, di essere ricollocato nella originaria
postazione.
Ha definitivamente perso il diritto al lavoro e
riceverà, in cambio, una indennità risarcitoria pari ad alcune mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Per andare incontro alle esigenze e richieste del
mondo imprenditoriale, la riforma Monti trasforma il diritto al lavoro in un
indennizzo, un costo che le aziende potranno preventivare e monetizzare, e
rispetto al quale, probabilmente, anche il problema della insindacabilità delle
scelte imprenditoriali e dei tempi lunghi della giustizia del lavoro (ignorati
dalla riforma) passeranno in secondo piano.
Che tutto questo possa conciliarsi con l’art. 41
comma 2 della Costituzione e, prima ancora, con il lavoro come fondamento della
Repubblica democratica, con la dignità del lavoro e dei lavoratori, sembra davvero impossibile.
Magistratura Democratica esprime forte contrarietà
ai contenuti di una riforma che si annuncia gravemente sbilanciata in danno dei
lavoratori e dei loro diritti.
Dott.ssa Carla Ponterio – Dott. Roberto Riverso Gruppo Lavoro MD