dal Consiglio nazionale
APP: uno strumento inidoneo che chiama in causa l’inadeguatezza del Ministero, impone un ruolo attivo al CSM, richiede una riflessione della magistratura associata
Consiglio nazionale di Magistratura democratica, 3 febbraio 2024
Le Procure della Repubblica e gli Uffici Gip di tutta Italia denunciano senza eccezioni come APP, l’applicativo che dal 14 gennaio 2024 è imposto dal D.M. Giustizia n. 217 del 2023 come mezzo esclusivo per la gestione con modalità telematiche delle procedure di archiviazione e che - secondo le prime comunicazioni del Ministero dell’ottobre 2023 - avrebbe addirittura dovuto gestire l’intera fase delle indagini preliminari, stia presentando, sin dal primo giorno di operatività, gravissimi e strutturali problemi di funzionamento.
Come previsto da plurime relazioni dei gruppi di tecnici che lo avevano sperimentato per conto del CSM, APP si presenta assolutamente inidoneo allo scopo per cui è stato creato, gravemente carente sul piano dell’usabilità anche da parte di utenti informaticamente avanzati, non in grado di gestire, in modo efficiente e rapido, anche il più semplice dei procedimenti (come la definizione di un’archiviazione a carico di indagati ignoti), perfino non in grado di rispettare le normative ordinamentali che regolano le Procure e gli Uffici Gip.
Un disastro già capace di produrre un arretrato di cui non si sentiva il bisogno, che chiama in causa la responsabilità del Ministero della Giustizia per avere varato - oltretutto in grave ritardo sui tempi previsti dalla riforma Cartabia già nell’ottobre 2022, e al di fuori di ogni effettivo pubblico confronto – un’operazione tanto rilevante e indispensabile per la magistratura del futuro, quanto fallimentare per l’approssimazione delle scelte che già stanno producendo danni significativi all’efficienza del sistema.
Se è doverosa la denuncia di una gestione che chiama in causa, purtroppo, l’inadeguatezza del Ministero della Giustizia nello svolgere il ruolo costituzionale di presiedere all’’”organizzazione” e al “funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” (articolo 110 della Costituzione), è altrettanto doveroso e necessario volgere lo sguardo al futuro. La vicenda di APP si profila infatti utile a comprendere quali dovranno essere e quali non potranno mai più essere, le direttrici di costruzione e le modalità di sviluppo del Processo Penale Telematico. Il primo dato esperienziale che se ne può trarre è la necessità che i magistrati e gli avvocati debbano essere coinvolti con un ruolo rilevante nei processi di innovazione e non già trattati come meri destinatari di decisioni prese lontano dai Tribunali spesso da chi non conosce neanche le procedure dei codici.
Si dovrà innanzitutto partire dall’analisi di realtà degli Uffici come sono - e non come si immagina che siano - in relazione ad hardware e software disponibili, alla preparazione degli operatori, alle condizioni della rete. Avendo sempre chiaro il contesto in cui si opera: uffici oberati di lavoro, alle prese con gravi scoperture di organico, già schiacciati da cronici problemi, senza bisogno di aggiungere quelli creati dal Ministero. Il PPT non potrà poi essere calato dall’alto o costruito altrove come avvenuto per APP, piuttosto costruito mattone dopo mattone , segmento processuale dopo segmento processuale, con gradualità, coinvolgendo gli operatori - anche amministrativi e di polizia giudiziaria – e insieme ai magistrati anche gli avvocati, avendo chiaro che il processo penale, massimamente nella fase delle indagini, non è fatto solo e principalmente di atti, ma di attività, di processi conoscitivi e relazionali tra una pluralità di soggetti e non potrà quindi mai essere organizzato da un programma di mera gestione documentale degli atti.
I costruttori e gli sviluppatori del programma dovranno frequentare gli Uffici per lunghi periodi di osservazione, al fine di analizzare non solo cosa fanno pm e gip, ma come lo fanno e con quali tempi. Solo all’esito potrà procedersi a una valutazione dei costi e benefici della digitalizzazione anche per attività che, già al momento, sono esitate con celerità ed efficienza. Si dovrà poi costruire un programma adattabile non solo alle diverse dimensioni degli uffici, ma anche alla loro diversa strutturazione interna, per non ledere l’autonomia organizzativa dei singoli Uffici, che è già espressione dell’autogoverno. Si dovrà, perciò, costruire un programma che consenta una gestione autonoma e duttile da parte di ciascun dirigente, che rispetti le norme ordinarie e secondarie di ordinamento giudiziario, l’assegnazione degli affari e ogni altro bene costituzionale in gioco. Il PPT, poi, non potrà essere avviato senza che vi siano adeguate rassicurazioni in ordine alla impenetrabilità della rete. Non si dovrà, infine, ripetere l’errore - compiuto per APP - di sperimentare il nuovo programma sul corpo vivo del processo, invece che in contesti di simulazione, garantendo a tutti una formazione non solo teorica, ma soprattutto pratica e operativa, avviando il PPT solo quando ogni suo segmento sia efficientemente utilizzabile.
In questo contesto, sono molteplici i profili – non riducibili a quelli tecnici - che interpellano il Consiglio superiore della magistratura, insieme a tutto il circuito del governo autonomo. Quella della digitalizzazione è una vicenda epocale con effetti potenzialmente “conformativi della giurisdizione”. Per questo si dovrà evitare che il mezzo telematico prenda il sopravvento sulla possibilità per ciascun magistrato di organizzare e dare forma al proprio lavoro nella libertà intellettuale di operare e redigere gli atti con modalità non ingabbiate da percorsi e modelli informatici obbligati. Per questo il CSM, i Consigli giudiziari, la dirigenza degli Uffici dovranno evitare che il PPT si sviluppi per scelte esclusive del Ministero, senza una loro diretta partecipazione non solo a momenti di effettivo confronto ma anche di decisione sulle grandi scelte di indirizzo.
La magistratura dovrà governare la transizione digitale, e non esserne governata.
I processi innovativi chiamano in causa anche l’associazionismo - inteso come ANM e quei gruppi associati che vogliono essere “centri di elaborazione culturale e professionale e non centri di potere” - ma non potrà mancare un elevato protagonismo istituzionale del Consiglio superiore della magistratura. Quest’ultimo, insieme a tutto il circuito del governo autonomo, dovrà garantire che il processo di digitalizzazione del processo penale sia gestito alla luce dei valori costituzionali in gioco nella giurisdizione penale.
Sul punto, in particolare, è molto elevato il rischio che il PPT - ispirato dalla “filosofia” della velocità - diventi veicolo di ulteriore burocratizzazione del lavoro del magistrato, ulteriore strumento delle derive produttivistiche in atto da anni, che portano, in ogni sede, a ragionare non di qualità della giurisdizione ma solo di “smaltimento” dei processi: la gretta efficienza è sempre nemica della buona giustizia.
Il Consiglio nazionale di Magistratura democratica
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