Penale
A margine di un processo per tortura
Il 20 aprile 2022 il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Torino ha disposto il rinvio a giudizio di ventidue persone, tra essi numerosi operatori dell’amministrazione penitenziaria accusati tra l’altro del delitto di tortura, commesso, stando all’accusa, in danno di persone detenute nel carcere di Torino;
altre imputazioni ipotizzano la consumazione di delitti come l’abuso di autorità contro detenuti, la violenza privata, le lesioni personali, la rivelazione di segreti d’ufficio, il favoreggiamento personale. I fatti – stando alle imputazioni – sarebbero stati commessi tra il mese di aprile 2017 e ottobre 2019. La prima udienza dibattimentale è stata fissata al 4 luglio 2023.
Il 20 maggio 2022 è stata respinta l’istanza di anticipazione udienza formalizzata dalle parti civili costituite in quel giudizio. Stando alle notizie di stampa, l’istanza di anticipazione udienza non sarebbe stata meritevole di accoglimento perché il processo di cui si discute non rientrerebbe tra le ipotesi in cui è possibile derogare ai criteri automatici di fissazione e calendarizzazione dei processi previsti dalle tabelle del Tribunale.
Si tratta di un provvedimento riconducibile all’esercizio del potere di decidere sull’anticipazione o sul differimento di un giudizio che, a mente dell’articolo 465 c.p.p., può essere decretato «per giustificati motivi».
Riteniamo che questa vicenda solleciti più di una riflessione.
L’oggetto di questo giudizio pone al centro dell’accertamento uno dei fondamenti del costituzionalismo: l’habeas corpus e il diritto di non essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Un diritto fondamentale di pregnanza tale da non poter soffrire deroghe – a mente dell’art. 15 della Convenzione Edu – nemmeno «in caso di guerra o in caso di altre pubbliche calamità che minaccino la vita della nazione».
È per questa ragione che riteniamo grave che anche solo l’oggetto delle imputazioni possa non essere considerato “in sé” un giustificato motivo per disporre l’anticipazione dell’udienza. Si tratta infatti di imputazioni che coinvolgono rappresentanti dello Stato incaricati di vigilare sui cittadini, che sono stati privati della libertà personale e affidati all’amministrazione pubblica. Per questo crediamo che sia preciso diritto di tutte le persone coinvolte in questo giudizio che venga accertato nel tempo più celere possibile se vi sia stata o meno la violazione di un così importante diritto fondamentale: vale per gli imputati (perché non intendiamo dare in alcun modo per scontata la fondatezza dell’ipotesi d’accusa); vale per le persone offese; vale per l’amministrazione pubblica (che certo ha interesse a sapere se – tra le sue fila – vi siano persone innocenti o colpevoli di un così grave reato).
L’art. 12 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, stipulata in ambito ONU nel 1984 e ratificata dall’Italia nel 1989 stabilisce che «ogni Stato Parte provvede affinché le autorità competenti procedano immediatamente ad un’inchiesta imparziale ogniqualvolta vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione».
La Corte Edu ha più volte riconosciuto che – dall’affermazione del diritto fondamentale a non essere sottoposti a tortura – discendono, per gli Stati membri della Convenzione Edu precisi e inderogabili obblighi di carattere sostanziale e procedurale. Tra essi l’obbligo per gli Stati aderenti alla Convenzione di svolgere indagini efficaci e tempestive, con un obbligo che deve informare tutta la gestione del giudizio [in tal senso, cfr. Corte Edu, Quarta Sezione, causa Cestaro c. Italia, Ricorso n. 6884/11, §§ 204-212; Corte Edu, Prima Sezione, Causa Azzolina e altri c. Italia, Ricorsi nn. 28923/09 e 67599/10, §§ 147-165]. Nella prospettiva di riuscire a concludere il giudizio in tempo utile a scongiurare che la prescrizione del reato impedisca l’accertamento della verità (sia essa la condanna del colpevole o l’assoluzione dell’innocente). È solo il caso di ricordare che l’Italia è già stata condannata per il mancato rispetto di questo obbligo.
Non vogliamo ergerci a censori delle decisioni di chicchessia. Sappiamo che molti uffici giudiziari vivono in condizioni di scopertura di organico e di rilevanti carichi di lavoro. E sappiamo anche che non sempre la declinazione dei criteri di priorità formalizzata nelle tabelle degli uffici giudiziari considera reati da poco introdotti nel nostro ordinamento.
Ma, anche laddove le tabelle degli uffici giudiziari tacciano sul punto, riteniamo che i processi in materia di tortura debbano comunque essere celebrati in via prioritaria. Lo impongono la Costituzione (art. 13, comma 4, Cost.), la Convenzione per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’Uomo (art. 3 Conv. Edu) e la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 (art. 12).
26 maggio 2022 L’esecutivo di Magistratura democratica
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