GENOVA –
Nel decennale del G8,
la sezione ligure di Md ha approvato un documento sui gravi fatti
verificatisi in quei giorni: “A 10 Anni dal G8 di Genova
(luglio 2001 – luglio 2011)”
IL DOCUMENTO:
A 10 ANNI DAL G8 DI GENOVA.
(luglio 2001 – luglio 2011)
“L’ingiustizia in qualsiasi
luogo è una minaccia alla giustizia ovunque (M.L. King)”
Ancora pochi giorni e ricorrerà il
decennale del vertice del G8, tenutosi a Genova tra il 20 e il 22
luglio 2001, i cui drammatici eventi hanno portato il capoluogo
ligure all’attenzione della comunità internazionale. Si tratta senza
dubbio di una ferita ancora aperta per la città, per i cittadini, e
per tutte le persone che ancora hanno a cuore la democrazia, i
diritti, e la tutela delle libertà fondamentali in Italia e nel
mondo. Non si può dimenticare che, secondo il giudizio espresso da
un organismo internazionale super partes quale Amnesty
International, nel luglio del 2001, a Genova si é verificata “una
violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella
storia più recente”, e “la più vasta e cruenta
repressione di massa della storia europea recente”.
La gravità ed il numero delle
violenze fisiche e morali inferte ai manifestanti sono stati tali, e
tale è stata l’entità dei danni patiti dalla città di Genova e
dai suoi abitanti che i processi penali non potevano dare pieno
ristoro alle vittime, tanto più che, a distanza di tanti anni,
nonostante l’impegno profuso dalla magistratura, ancora quei processi
non sono conclusi.
A prescindere dall’accertamento delle
singole responsabilità, tuttavia, il lungo iter giudiziario
ha consentito di accertare quello che ai più era apparso chiaro
nell’immediatezza dei fatti: alle violenze diffuse e ai gravi
fenomeni di gratuito vandalismo provenienti da parti non irrilevanti
del movimento antiglobal, la polizia ha reagito con interventi
repressivi di tale portata da esigere la più ferma condanna. Basti
pensare alla durezza delle cariche, ai numerosi pestaggi di
cittadini inermi, alle sevizie, alle umiliazioni, e alle vere e
proprie torture inflitte, con il benestare dei superiori, dagli
appartenenti alle forze dell’ordine a manifestanti e arrestati,
rispettivamente, nelle scuole Diaz e Pertini e nella caserma di
Bolzaneto. Un’ azione repressiva di vasta portata che, in mancanza
di una attività di prevenzione adeguata, ha prodotto un ben misero
risultato in termini di ordine e sicurezza pubblica, incidendo
gravemente su diritti e libertà fondamentali di persone che, nella
quasi totalità dei casi, si sono rivelate estranee agli atti
vandalici e alle violenze di quei giorni.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
di Strasburgo, peraltro, ha più volte affermato che il divieto di
trattamenti “inumani e degradanti” va inteso in senso
assoluto e non consente deroghe “neppure nelle circostanze più
difficili, quali la lotta contro il terrorismo ed il crimine
organizzato, e neppure in caso di pericolo pubblico”.
Alla luce di ciò si deve concludere,
con Livio Pepino, che a Genova é stata scritta “una delle
pagine più buie degli ultimi decenni in punto gestione dell’ordine
pubblico e comportamenti degli apparati di polizia”.
Benché la vicenda abbia avuto
vastissima eco internazionale, alla stessa non è stata data risposta
alcuna sul piano istituzionale. Ancora una volta, la politica è
venuta meno ai propri compiti: non vi è stata alcuna presa di
distanza tra i rappresentanti delle istituzioni e i pubblici
ufficiali coinvolti nei processi; sono mancate le doverose assunzioni
di responsabilità da parte di chi rivestiva ruoli di rilievo nella
gestione dell’ordine pubblico; è mancata una leale collaborazione
da parte della polizia nei confronti della magistratura.
All’iniziale rimozione di alcuni
elementi di vertice della Polizia di Stato non sono seguiti ulteriori
provvedimenti: al contrario, come da più parti segnalato, le
carriere dei più (o meno) alti funzionari coinvolti nei fatti di
Genova, quando non hanno registrato promozioni significative, sono
progredite normalmente. A ciò deve aggiungersi che nei confronti dei
pubblici ufficiali che hanno subito condanne irrevocabili non sono
state adottate sanzioni disciplinari di un qualche rilievo ed anzi,
alcuni di loro, continuano a prestare servizio presso la Questura di
Genova trovandosi a collaborare con quella stessa Procura della
Repubblica che ha esercitato l’azione penale nei loro confronti.
Tra mille difficoltà (e pur con tutte
le lentezze e i ritardi propri di un sistema che sa essere
efficiente ed inflessibile solo di fronte a procedimenti semplici per
reati bagatellari), la magistratura genovese è riuscita a portare ad
una dignitosa conclusione, a livello di giudizio di merito, i
principali procedimenti aperti all’indomani di quei tragici eventi.
Il numero e la complessità di tali procedimenti non ha consentito,
anche a causa di scelte organizzative non sempre condivisibili, di
trattarli tutti sicché molti episodi di violenza di strada non
hanno potuto avere risposta in sede penale, alcuni di questi episodi
tuttavia hanno ricevuto tutela in sede civile e singoli manifestanti
ingiustamente arrestati o malmenati, hanno visto riconosciuto il loro
diritto al risarcimento del danno patito. Certamente si sarebbe
potuto fare di più e meglio: sarebbe stato possibile e doveroso un
miglior coordinamento tra gli inquirenti, necessaria una migliore
organizzazione e distribuzione del lavoro secondo una effettiva unità
di intenti. E’ giusto, peraltro, che un giudizio definitivo
sull’operato della magistratura genovese sia lasciato all’opinione
pubblica.
A dieci anni da quei tragici eventi
dobbiamo invece sottolineare: che la gran parte dei fatti per cui si
è proceduto nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine
accusati di aver violato i propri doveri istituzionali sono già
stati dichiarati prescritti; che per i reati rimanenti il decorso del
termine prescrizionale è ormai imminente; che – come già
evidenziato da alcuni organi di stampa – a distanza di circa un anno
dal deposito della motivazione della sentenza relativa ai fatti della
Diaz gli atti di causa non sono stati ancora trasmessi alla Corte di
Cassazione: un ulteriore segno della inadeguatezza del nostro sistema
giudiziario ad affrontare procedimenti di tale complessità.
Va rammentato in proposito che, attesa
l’entità delle pene edittali, la possibilità di valersi della
prescrizione non è neppure ipotizzabile nei procedimenti a carico
dei manifestanti, ciascuno dei quali è stato accusato di aver
“devastato” l’intera città di Genova, e che, se l’Italia
avesse adeguato tempestivamente la propria normativa interna alle
Convenzioni Internazionali che ha sottoscritto, introducendo il reato
di “tortura”, una tale possibilità sarebbe stata preclusa anche
a coloro che sono accusati di aver abusato della propria autorità su
persone private della libertà personale e di averle sottoposte a
“trattamenti inumani e degradanti”.
La Corte di Strasburgo, peraltro, ha
ripetutamente affermato che, quando un rappresentante dello Stato è
incriminato per fatti di maltrattamento posti in essere
nell’esercizio delle proprie funzioni, è di estrema importanza che
i relativi giudizi penali “non siano soggetti a prescrizione e
che non sia possibile concedere amnistia e condono”, sicché le
gravi lesioni procurate in quei giorni a manifestanti e arrestati
dovrebbero, anche in assenza di un reato di tortura, essere
considerate imprescrittibili.
In base all’art. 13 della
Costituzione “è punita ogni violenza
fisica e morale su persone comunque sottoposte a
restrizione della libertà”. Ciò impegna il nostro paese a
rendersi protagonista nella battaglia per la tutela dei diritti umani
e civili anche (e soprattutto) quando della loro lesione si siano
resi responsabili rappresentanti delle istituzioni.
Lo Stato di Diritto trova la sua
ragion d’essere nel garantire il rispetto del patto di pacifica
convivenza e nell’impedire che la forza e la violenza possano
intervenire a regolare i rapporti tra consociati. Lo Stato, pertanto,
deve sanzionare i violenti e può usare nei loro confronti una
proporzionata violenza. Se però tale violenza è utilizzata – come
troppo spesso avvenne in quei giorni – fuori dai limiti della
proporzione o addirittura – come nelle scuole Diaz e Pascoli e nella
caserma di Bolzaneto – nei confronti di persone inermi, allora la
fiducia per le Istituzioni ne risulta incrinata: ciò indebolisce lo
Stato, mina il patto sociale, dà sostegno a coloro che credono che
i conflitti debbano essere regolati con la forza.
E’ compito della Magistratura
evitare che questo avvenga reintegrando i diritti violati ed è
compito delle Istituzioni cooperare lealmente, consentendo alla
Magistratura di svolgere con efficacia il proprio ruolo: solo
perseguendo ogni abuso della violenza, infatti, lo Stato può esigere
che la stessa non venga praticata.
Da Genova – dove nel 2001 i valori
fondanti della nostra democrazia furono così gravemente offesi –
muove oggi l’auspicio che ogni lesione del diritto, da chiunque
commessa, possa avere una risposta giurisdizionale rapida, efficace,
rigorosa e credibile perché ciò che è avvenuto non possa mai più
ripetersi.
LA SEZIONE LIGURE DI MAGISTRATURA
DEMOCRATICA