Faccio una fatica enorme a trattenere le lacrime. Da 32 anni faccio questo mestiere qui in Calabria, come sapete e mi barcameno come tutti noi, cercando di restituire dignità, o almeno un poco di dignità, a donne e uomini che ce la chiedono affollati intorno a questa vecchia barca piena di buchi e travi marce. Quante volte ho riflettuto su come i malanni della giustizia in questa terra assumessero connotati e dimensioni difficilmente riscontrabili altrove, al punto da divenire letteralmente inenarrabili. Cioè, quasi impossibili da narrare a colleghi più fortunati.
Però, paradossalmente, proprio qui, in questo quotidiano disastro, ho incontrato alcuni dei migliori giudici, alcune delle migliori persone in cui mi sia capitato di imbattermi, dentro e fuori le aule di giustizia. E Renato, fra questi, svettava e di gran lunga. Non me ne vogliano gli altri.
Ho cercato, cosa che faccio spesso, l’etimologia di “signore” perché era la parola che più avevo in mente pensando a lui, ma non mi è parsa appropriata per la gran parte delle definizioni che le sono riconducibili. Riferite a un segno di superiorità, di prevalenza, addirittura di divinità. Se non per una, quella che richiama l’idea di mitezza, gentilezza e profondità di conoscenza.
Eccellere è un verbo finanche riduttivo per descrivere come Renato è stato giudice per oltre 40 anni, i primi nella ribollente Milano degli anni 70 del secolo scorso e poi, uno dei rarissimi regali che il fato ha concesso a questa mia regione, qui in Calabria. Imponendo sempre a tutti rispetto per il solo fatto di essere quello che era e senza avere mai dovuto alzare, anche solo di un tono, la sua voce ironica e gentile.
Un grande intellettuale, come tale riconosciuto unanimemente e ben oltre le mura dei palazzi di giustizia. Un grande presidente della Sezione lavoro della nostra Corte e un grande presidente del Tribunale di Cosenza, naturalmente destinato a presiedere la stessa Corte d’Appello di Catanzaro e senza, però, averlo potuto fare, per colpa di una delle tante vergognose decisioni del Csm, alla quale ha reagito, appunto, con quel tratto di inarrivabile signorilità che gli era proprio: salutando tutti e andandosene.
Sarà impossibile dimenticare le sue battute, il suo sorriso ammiccante, le sue storie.
Renato Greco è stato anche un compagno vero, lo ricordo in mille occasioni. Congressi, convegni, riunioni di sezione o di Anm. Ricordo che prendeva la parola ed il brusio cessava perché la sua voce tenue arrivasse a tutti, perché tutti volevano ascoltarlo.
In questi ultimi mesi ed in queste ultime settimane la sua salute era andata peggiorando. Il suo fisico era gracile fini dai tempi dell’adolescenza per una grave menomazione che lo affliggeva, ma anche su questo riusciva e sorridere e far sorridere, quando raccontava di aver chiesto al dottore, che lo preparava a questo ultimo, fatale, intervento, “dottore dica la verità, ha mai visto un altro come me?”, intendendo miracolosamente ancora sopravvissuto a tutti i malanni che lo avevano colpito e che quello aveva risposto con uno stentoreo “no, mai!”. O quando mi diceva che avrebbe poi donato il suo corpo alla scienza.
Persone così nascono raramente e noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarne una ed ora ci tocca il grande dolore di doverle dire addio.
Emilio Sirianni