Vorrei parlare, in questo intervento, di
egemonia e contaminazione. E di rapporto con il potere.
MD, lo hanno detto in tanti in questo Congresso,
ha svolto nel passato un ruolo di “egemonia culturale” e ha “contaminato”
culturalmente l’intera magistratura.
Alcune idee-forza di MD, il rapporto tra giudice
e Costituzione, il carattere diffuso del potere giudiziario, l’indipendenza
interna, la cultura tabellare, sono oggi patrimonio comune della gran parte
della magistratura italiana. E gli interventi di oggi del Primo Presidente
della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, e del Presidente della ANM, Rodolfo
Sabelli, ne sono, in qualche modo , una plastica e visibile
dimostrazione.
Questa contaminazione di tutta la magistratura è
certamente un successo di Magistratura Democratica, ma, allo stesso tempo, è
un fattore di indebolimento della sua forza propulsiva. Nella misura in cui
quelle idee- forza sono diventate patrimonio comune di gran parte dei
magistrati, MD ha perso la sua specificità, la sua diversità. E anche il suo
appeal. Per alcuni anni abbiamo
vissuto di rendita, ma ormai, temo, il bonus tende ad esaurirsi.
Ed è questo, oggi, il problema di MD: la
capacità di proporre idee forti sulla giurisdizione, progetti di cambiamento
della realtà che siano adeguati al tempo presente, la capacità di ritagliarsi
un nuovo e moderno ruolo di “rottura” dall’interno della corporazione, che
risponda ai mutati problemi e bisogni della magistratura di oggi.
E, invece, dobbiamo dircelo con franchezza, la
scelta del gruppo negli ultimi anni è stata quella del ripiegamento. Un gruppo
nato in anni in cui uno degli slogan era “vogliamo tutto”, in cui il
cambiamento della società, dei costumi, dei valori, dei rapporti tra persone,
delle relazioni industriali era la forza propulsiva dei movimenti culturali e
politici, ha scelto la linea della “resistenza” e quindi, in definitiva, una
linea di conservazione.
E allora il problema non è AREA, come non era
ANM qualche anno fa, che impedirebbero a MD di far sentire la sua voce. Il
problema è che la voce di MD è debole e scarsamente incisiva. Su temi come il
carcere, il diritto penale, il diritto del lavoro, la magistratura onoraria MD
continua a ripetere cose che potevano andare bene dieci o venti anni fa, ma
che poco hanno a che vedere con la realtà attuale.
Solo su un terreno il gruppo è riuscito negli
ultimi anni a svolgere un ruolo di egemonia culturale e di traino, ed è quello
della legislazione europea e sovra-nazionale, campo nel quale ha dimostrato
una formidabile capacità di fare cultura, di aggregare, di coinvolgere
colleghi, di fare giurisprudenza. Questa deve essere la nostra prospettiva più
forte, anche perché è in Europa che oggi si gioca la sfida per il diritto e
per i diritti. Il gruppo deve fare lo sforzo di porre al centro della sua
iniziativa politica l’elaborazione del gruppo Europa; ma ai colleghi di quel
gruppo mi sento umilmente di chiedere uno sforzo di avvicinamento al gruppo;
abbiamo bisogno, almeno io ne ho bisogno, di un percorso di alfabetizzazione
sul tema dell’Europa. Troppo spesso, infatti, si ha l’impressione che il
dibattito sia chiuso all’interno di un circuito di esperti, titolari della
conoscenza di alcuni arcani, ai
quali noi, spesso travolti dai fascicoli abbiamo difficoltà ad accedere.
Dunque il problema non è AREA, il problema siamo
noi. E ogni tentativo di imbrigliare la discussione su AREA in astratti
distinguo organicisti è un modo di rimuovere il problema. AREA è una realtà,
ed è anche una ricchezza della magistratura italiana. Noi non dobbiamo aver
paura del fatto che le persone vogliano riunirsi e parlare di temi che
riguardano la giurisdizione. E non deve essere una preoccupazione il fatto che
vogliano farlo sotto una etichetta piuttosto che un’altra.
Noi abbiamo il dovere di contribuire a questo
percorso, dobbiamo far crescere AREA e dobbiamo crescere noi dentro AREA,
cominciando a capire che anche gli altri possono insegnarci qualcosa e che è
finito, se mai c’è stato, il tempo in cui eravamo noi a spiegare agli altri
cosa dovevano fare e pensare.
Le questioni organizzative, dicevo, mi
appassionano poco e sono un modo per spostare la discussione. Solo su un
punto, però, credo vi sia il bisogno di dotarsi di una struttura, anche se
minima e leggera. Noi abbiamo eletto un gruppo unitario al CSM e abbiamo fatto
una lista unitaria per l’ANM. Ma non abbiamo un luogo nel quale la
rappresentanza possa confrontarsi con i propri elettori. Questa rottura del
rapporto tra rappresentanti e rappresentati costituisce, a mio avviso, un deficit democratico. Non penso
certamente a modelli nei quali la dirigenza dei gruppi detti la linea agli
eletti nelle istituzioni o nella associazione, ma sento il bisogno di un luogo
di confronto nel quale gli elettori possano contribuire, insieme agli eletti,
alla elaborazione delle linee politiche nei luoghi della rappresentanza, ferma
restando ovviamente l’autonomia
degli eletti.
La linea della resistenza e del ripiegamento ha
inoltre provocato una forte attenuazione della nostra capacità critica sui
modi di esercizio della giurisdizione. Il richiamo forte di Luigi Ferrajoli ai
valori del garantismo e della deontologia professionale, proprio perché duro,
specifico e per nulla rituale, non consente più alcuna ipocrisia sul punto. Ma
io credo che su questo terreno vi sia qualcosa di più di una riduzione della
capacità di attenzione critica, in quanto temo che il giustizialismo, in uno
con il massimalismo ideologico che secondo me non a caso si sono incontrati
nel partito dei pubblici ministeri evocato da Ferrajoli, sia parte del
patrimonio genetico di Magistratura Democratica, con il quale noi non abbiamo
finora avuto la forza e il coraggio di fare i conti fino in fondo.
Ma la contaminazione non è mai unilaterale. La
crescita di consensi per Magistratura Democratica ha costretto il gruppo anche
a confrontarsi con il difficile e pericoloso tema del rapporto con il potere.
Quando l’eresia si fa vangelo, gli eretici diventano chierici, alcuni
addirittura cardinali. Da gruppo di minoranza e di rottura MD è oggi parte
rilevante del governo della magistratura e ne condivide, purtroppo, anche i
vizi. Ciò ha coinciso, peraltro, con un cambiamento profondo nel sentire della
magistratura. Riforme importanti e condivise in materia di ordinamento
giudiziario, come le valutazioni di professionalità, la temporaneità degli
incarichi direttivi, l’abolizione del criterio dell’anzianità, hanno
alimentato una cultura della “carriera” pericolosa e controproducente. In più,
condizioni di lavoro sempre più difficili e pesanti negli uffici, un uso del
disciplinare a volte occhiuto e poco consapevole delle difficoltà di lavoro
dei magistrati, hanno creato una paura dei magistrati nei confronti
dell’autogoverno, e la ricerca di un rifugio nella involuzione burocratica,
nel ripiegamento corporativo, nella protezione delle correnti.
Noi abbiamo il dovere di contrastare questa
deriva, ritrovando la capacità, come diceva Ezia Maccora, di una nuova
“rottura”. Ma per farlo dobbiamo partire da una forte e salutare autocritica.
Senza demonizzazione e autoflagellazioni, ma anche senza ipocrisie. Hanno
ragione Marcello Matera e Nicola Di Grazia quando dicono che il qualunquismo è
oggi il pericolo più grave per la magistratura e per l’associazionismo, ma noi
dobbiamo essere consapevoli del fatto che un cattivo governo del potere è la
principale linfa che alimenta il qualunquismo.
Abbiamo bisogno di segni, tangibili ed evidenti,
di rottura rispetto alla situazione attuale.
Luigi Ferrajoli è stato accusato da alcuni di
essere stato troppo diretto, troppo specifico, in definitiva troppo chiaro;
come se i filosofi andassero bene quando “volano alto”, evocano principi adattabili a
qualunque circostanza, ma non si occupano della realtà. Evidentemente costoro
non comprendono la passione civile che ha sempre animato gli studi e le
riflessioni di Luigi.
Anche io, su questo punto, non intendo limitarmi
a generiche deplorazioni o a vaghi auspici.
Non è tollerabile che magistrati di MD o di AREA
che concorrono per posti direttivi o semidirettivi facciano il giro delle
stanze del CSM, sia presso i consiglieri di AREA che presso quelli di altri
gruppi. Non è tollerabile, ma purtroppo accade.
Non è tollerabile che la percentuale di
magistrati che passano dall’ufficio studi e dalla segreteria del CSM
all’ufficio del massimario, e poi alla Corte di cassazione, sia così alta da
rendere impossibile replicare alle accuse di spartizione tra correnti e di
costruzione di carriere parallele. E non è accettabile che la delicata
funzione nomofilattica sia affidata a magistrati che sono stati tantissimi
anni lontani dagli uffici di merito.
Infine, non è accettabile che magistrati
professionalmente squalificati accedano a posti direttivi e semidirettivi. E,
purtroppo, dobbiamo ammettere che questo accade; e riguarda anche magistrati
che si riconoscono in AREA.
Questa è la sfida di MD e su questo si misurerà
la capacità di AREA di essere davvero un fattore di rinnovamento della
magistratura.
L’alternativa è quella di ritrovarsi ogni due
anni a ripetere uno stanco e nostalgico rituale, ogni volta un po’ più vecchi
e un po’ più disillusi.
Giuseppe Cascini