Documento per il Congresso

di Esecutivo di Magistratura Democratica

Pubblico ministero, ordinamento e garanzie

DOCUMENTO PER IL CONGRESSO

elaborato dal gruppo di lavoro costituito all’esito del seminario su “Modelli organizzativi delle Procure della Repubblica e credibilità della giurisdizione” (Roma, 3 dicembre 2011)

 


Curato
da  Bruno Giangiacomo

Redatto
dai componenti dell’esecutivo di Md Teresa Iodice, Luca Poniz, Stefano Pesci
e Lia Sava

e
da: Eugenio Abbamonte e Fabrizio Vanorio  

 

PUBBLICO MINISTERO, ORDINAMENTO E
GARANZIE

  

1.- Il nuovo ordinamento e
l’elaborazione del Csm sull’organizzazione delle Procure

Negli ultimi due decenni le profonde
trasformazioni della società italiana e le non poche significative modifiche
del tessuto normativo hanno inciso fortemente sullo “statuto” del pubblico
ministero, ponendo agli Uffici di Procura –nel frattempo progressivamente
assurti ad un ruolo centrale nella rappresentazione mediatica del processo-
problemi inediti e talvolta straordinariamente complessi.  L’ultimo
passaggio rilevante di tale processo di profonda trasformazione, è
rappresentato dal D.L.vo 106, che, a sua volta, ha introdotto importanti novità
in materia di organizzazione degli uffici requirenti e di poteri dei
Procuratori della Repubblica.

Come noto, il Csm nel corso degli anni
aveva sviluppato una preziosa elaborazione in materia e nel luglio di quattro
anni fa, con una importante risoluzione, aveva adottato alcune linee guida
sulla organizzazione degli Uffici di Procura alla luce, per l’appunto,
dell’entrata in vigore del D.L.vo 106. Ciò che è accaduto in questi quattro
anni dimostra che si trattò, allora, di una scelta lungimirante.

Deve, infatti, essere ricordato che la risoluzione
del 2007 stabilì alcune importanti norme secondarie dirette a valorizzare
l’autonomia costituzionale del magistrato inquirente, tra cui quella (par.
3.1.b) che àncora la facoltà del Procuratore di “assegnazione” di singoli atti
ai soli procedimenti da lui personalmente trattati oppure quella (par. 3.1.d.)
che devolve al plenum del Csm la risoluzione del contrasto tra sostituto
e dirigente sulla revoca di un procedimento. A ciò si aggiunga la conservazione
nella normativa consiliare “post-riforma” dell’obbligo di motivazione per i
provvedimenti di “autoassegnazione” di procedimenti.

A quella risoluzione, come è noto, sono seguiti
altri importanti passaggi: in primo luogo, la risposta al quesito del 18.5.2009
posto da alcuni sostituti della Procura della Repubblica di Genova in tema di
revoca di assegnazione, ché anch’essa si caratterizzò per una attenta
delimitazione dei poteri del Procuratore. In secondo luogo, la risoluzione del
contrasto insorto all’interno della Procura della Repubblica di Napoli,
nell’ambito della quale, sempre nel maggio 2009, il Consiglio ebbe modo di
escludere la possibilità di revoche implicite delle assegnazioni, anche nei
casi di contitolarità del procedimento da parte del  Procuratore.

Nel luglio 2009, la nuova risoluzione generale
sugli Uffici di Procura ha ribadito le “linee-guida” del Csm, ferma restando la
“piena potestà organizzativa” in capo ai singoli Procuratori. Su costoro,
comunque, incombono precisi oneri organizzativi, tra cui quelli di istituire i
gruppi di lavoro e di destinarne i sostituti con criteri trasparenti, nonché
quello di definire i possibili criteri di priorità, specialmente con riguardo
al principio della ragionevole durata del processo.

Per quanto concerne le assegnazioni e le relative
revoche, la risoluzione del 2009, nel ribadire la valenza delle nuove norme
primarie (p.es. sulla “facoltatività” delle assegnazioni automatiche),
stabilisce il diritto del sostituto destinatario del provvedimento di revoca a
presentare osservazioni nel termine di 10 giorni ed il potere del Csm di
valutare esistenza, ragionevolezza e congruità della motivazione (salva la
facoltà del Procuratore di differire l’invio delle osservazioni al Consiglio).

 

2.- I temi al centro della riflessione
sul modello di organizzazione del Pubblico Ministero

Rimangono tuttavia sul
tappeto una serie di problemi importanti, che esigono, volta per volta,
interventi di orientamento e di regolazione da parte del Consiglio, vertice
organizzativo dell’Ordine giudiziario.

Per rendersene conto sarà sufficiente
indicare, a titolo esemplificativo, solo alcuni dei temi più delicati in ordine
ai quali è indispensabile si sviluppi, nei prossimi anni, la riflessione
dell’autogoverno:

A) la
gestione dell’obbligatorietà dell’azione penale
:
per evitare che un principio fondamentale ed irrinunciabile si traduca in una
vuota formula, è essenziale utilizzare in modo ragionato le risorse a
disposizione ed individuare aree di trattazione prioritaria; in particolare,
occorre ottimizzare gli strumenti umani e materiali, anche attraverso
l’individuazione e diffusione delle buone prassi, quali l’istituzione di Uffici
per gli affari a trattazione semplificata, già previsti con buoni risultati in
grandi Procure, come quelle di Milano e Palermo, o l’impiego intelligente di
VPO ed ufficiali di Pg opportunamente formati ed, ancora, i protocolli di
udienza concordati con i sindacati del personale e l’avvocatura, importanti per
avere una gestione efficiente della fase dibattimentale.

In
ogni caso, finché avremo una legislazione che contraddice in pieno l’idea del
“diritto penale minimo”, l’unica strada praticabile per evitare di affidare al
caso scelte importanti per la vita dei cittadini, è quella delle priorità,
già riconosciute ed ammesse dal Csm con le risoluzioni generali e specifiche
del 9.11.2006, 15.5.2007 e 21.7.2009. 

Naturalmente
l’efficacia dell’adozione dei criteri di priorità è inversamente proporzionale
al numero delle categorie di procedimenti prioritari, per cui dovranno
certamente evitarsi elencazioni analitiche di numerose categorie di
procedimenti o il ricorso a formule di definizione generiche (p. es. “casi
gravi” oppure basate sull’“allarme sociale”). 

Inoltre,
le priorità sono compatibili con i principi costituzionali se non si distingue
tra reati di serie A e di serie B, bensì tra gravità in concreto dei singoli
reati (p. es. corsie preferenziali per corruzione e reati tributari di notevole
entità patrimoniale o maxilottizzazioni abusive, dilazioni per contraffazioni e
contrabbandi da strada e mini-tettoie senza permesso). Pertanto, i criteri
della gravità in concreto del fatto tassativamente definita e del valore
economico
del profitto o vantaggio illecito (quest’ultimo individuato in
importi consistenti) appaiono idonei ad introdurre davvero una selezione tra i
procedimenti prioritari e non in quasi tutte le materie devolute alle Procure.

B) la conduzione delle indagini, il ruolo guida del magistrato
requirente e i rapporti con la polizia giudiziaria
; il pubblico ministero
deve rimanere il motore delle indagini e mantenere il ruolo guida nelle
indagini, tuttavia improntandolo a criteri di effettività. 

Il
nostro codice di procedura penale ha infatti conferito al Pubblico Ministero un
ruolo di assoluta centralità nella conduzione delle  indagini preliminari, che si riflette
all’evidenza nella configurazione del rapporto con la Polizia giudiziaria.
Coerentemente con le norme costituzionali poste a presidio delle libertà
fondamentali –ove la riserva di legge è completata dalla riserva di
giurisdizione– nella fase delle indagini preliminari, ed in relazione al
compimento di atti che incidono significativamente sulle libertà personali, al
Pubblico ministero è innanzitutto affidato il delicato compito di “controllo di
legalità” delle attività di Polizia giudiziaria, ciò presuppone una rigorosa
distinzione dei ruoli ed una ferma difesa delle prerogative del Pubblico ministero.

Come
hanno mostrato recenti e reiterati disegni “riformatori”, è proprio sul versante
del rapporto con la Polizia giudiziaria che si concentrano le proposte più
insidiose, tese a svilire il ruolo del pubblico ministero e ad accrescere
l’autonomia della polizia giudiziaria dall’Autorità giudiziaria. E’ del tutto
evidente come una difesa ferma dell’attuale modello passi anche attraverso un
esercizio, in concreto, dei poteri di iniziativa del Pm e di controllo da parte
di questo dell’operato della Pg., capace di garantire un costante equilibrio
tra il rispetto dei principi di legalità e l’efficacia dell’attività
investigativa. Ciò presuppone una rigorosa professionalità del Pubblico ministero,
capace di evitare improprie contaminazioni di ruolo, pigre trasposizioni di
valutazioni o peggio apodittiche conclusioni della Polizia giudiziaria, che non
di rado si annidano in perniciose prassi di “copia e incolla”, con adesioni,
non sempre sufficientemente critiche, al lavoro della Polizia giudiziaria. Il
modello, insomma, dovrebbe ispirarsi a quello della “collaborazione nella
distinzione” (dei ruoli), valorizzando al massimo il rapporto di “dipendenza
funzionale” della Pg verso il Pm, percepibile già nel tenore letterale del
dettato costituzionale.

I
precipitati “pratici” di un simile modello sono molteplici, in numerosi e
delicatissimi momenti dell’attività del Pubblico ministero: dal rapporto con la
Pg durante il “turno” (valutazioni urgenti su arresti e fermi, convalide di
sequestri e perquisizioni…) a quello strettamente investigativo durante le
indagini (scelte sui mezzi da impiegare, sulle intercettazioni e le loro
proroghe, ad esempio…) è evidente che la “professionalità” del Pm passa anche
per la sua capacità di determinazioni autonome, coerenti, logiche. 

C) l’intreccio specializzazione-ultradecennalità; per le
funzioni requirenti la decennalità deve essere bilanciata con meccanismi che
consentono, comunque, la salvaguardia della professionalità acquisita. 

Il tema della specializzazione presenta due differenti
prospettive di approccio in quanto da un lato configura uno dei principali
criteri di distribuzione degli affari all’interno dell’Ufficio requirente
garantendo, almeno in parte, che la distribuzione stessa avvenga attraverso
criteri obiettivi e predeterminati e, dall’altro costituisce, con tutta
evidenza, uno strumento fondamentale per affinare la qualità del prodotto
giudiziario dell’Ufficio, ottimizzare l’impiego delle risorse umane e stimolare
una crescita professionale, suscettibile anche di apprezzamento in sede di
valutazione periodica di professionalità e di valutazione attitudinale al
conferimento di incarichi semidirettivi e direttivi.

Quanto al primo aspetto è lo stesso D.L.vo 106/2006
che all’art. 1 co. 6° lett.b) ad indicare l’individuazione di settori di affari
da assegnare ad un gruppo di magistrati requirenti coordinato da un Aggiunto o,
in mancanza, da uno dei magistrati che lo compongono. Sul punto il Csm nella
risoluzione del 12 luglio 2007 (par. 3.2), consiglia la costituzione di gruppi
di lavoro specializzati, previa analisi dei flussi e nell’ambito di una
procedura che consenta di adottare le scelte organizzative in modo partecipato
e trasparente; mentre con la risoluzione del 21 luglio 2009, nel paragrafo 2.2,
indica l’organizzazione del lavoro in gruppi specialistici quale strumento
mediante il quale perseguire il “corretto, puntuale ed uniforme esercizio
dell’azione penale nel rispetto delle norme sul giusto processo”
. Nella
stessa delibera vengono indicate alcune specializzazioni, ritenute
particolarmente qualificanti (diritto penale dell’economia, soggetti deboli,
ambiente e sicurezza dei luoghi di lavoro); viene evidenziata l’opportunità che
gli aggiunti vengano incaricati di coordinare i gruppi garantendo lo
svolgimento di riunioni periodiche e che vengano individuati momenti di
coordinamento tra i vari gruppi che operano su fenomeni criminali
interconnessi; si afferma la necessità che l’assegnazione dei magistrati ai
gruppi avvenga attraverso procedure trasparenti.

A queste indicazioni sarebbe opportuno aggiungerne
altre:

– che la competenza dei gruppi venga tassativamente
rispettata in sede di assegnazione degli affari;

– che (come già oggetto di previsione nelle ultime
circolari sull’organizzazione degli uffici requirenti antecedenti al 2006) la
specializzazione venga favorita anche nelle Procure di ridotte dimensioni
prevedendo non gruppi ma, eventualmente, specializzazioni individuali, con
rotazioni periodiche;

– che vengano incentivate, in caso di crimini che
coinvolgono differenti specializzazioni, co-assegnazioni di magistrati
appartenenti a gruppi diversi oltre che forme stabili di coordinamento
intergruppo (ad esempio tra i gruppi che si occupano di tributario, Pubblica
amministrazione e crimine economico, ovvero tra i gruppi impegnati nel
contrasto alla criminalità comune e la DDA, ecc.) al fine di favorire strategie
di contrasto calibrate alla reale complessità dei fenomeni criminali ed evitare
competitività disfunzionali e invasioni di campo più o meno inconsapevoli;

– che vengano favoriti e poi
rigorosamente rispettati criteri prevalentemente automatici di assegnazione
degli affari specialistici ai magistrati componenti del gruppo.

In buona sostanza, trattandosi del criterio di
assegnazione oggettiva più qualificante previsto dal legislatore, sarebbe
opportuno favorirne la massima estensione e renderne più trasparente ed
efficace il funzionamento.

Quanto
alla specializzazione quale strumento di organizzazione virtuosa del lavoro
dell’ufficio e di promozione delle professionalità dei magistrati che lo
compongono, le risoluzioni consiliari sopra ricordate evidenziano come la
scelta delle aree specialistiche debba essere guidata dalle esigenze di
contrasto ai fenomeni criminali del territorio ed essere attagliata alle reali
dinamiche delle relative manifestazioni. In tal senso le scelte strutturali non
possono che essere precedute da una attenta rilevazione qualitativa e
quantitativa dei flussi delle notizie di reato, prevedendo, se del caso,
l’accorpamento in un unico gruppo di materie collegate quando le reali
dinamiche criminali evidenziano una corrispondente interconnessione; mentre la
selezione dei magistrati deve avvenire prendendo in esame le attitudini e le
pregresse esperienze professionali di ciascuno.

Anche
in questo caso le indicazioni consiliari possono essere incrementate
prevedendo:

– che la dimensione di ciascun
gruppo sia numericamente commisurata, non solo e non tanto al mero dato
quantitativo degli affari, desumibile dalla rilevazione statistica, ma
all’effettiva onerosità media dei procedimenti specializzati;

– che la composizione del gruppo
sia preordinata a favorire la compresenza di magistrati già esperti e di
magistrati che si avviano a specializzarsi nel relativo settore; ciò al fine di
favorire un fruttuoso scambio di esperienze professionali e ad evitare che, in
occasione dei periodici ricambi, il gruppo non abbia a subire una caduta di
efficacia e di professionalità dovuta al simultaneo allontanamento dei
magistrati più esperti;

– che non venga consentita la
partecipazione esclusiva del magistrato a gruppi (quali ad es. esecuzione
penale o affari civili) che non consentano l’espressione di tutte le differenti
attitudini professionali delle quali si compone la funzione del Pm (conduzione
delle indagini, redazione degli atti, partecipazione alle udienze ecc.); ciò al
fine di favorire una formazione equilibrata e di consentire una piena
valutazione professionale ed attitudinale nei successivi passaggi di carriera;

– che, attraverso la valutazione
dei flussi e dell’effettiva onerosità media dei procedimenti assegnati a
ciascun gruppo specialistico, vengano predisposti meccanismi di reale
bilanciamento dei carichi di lavoro tra i magistrati dell’ufficio che siano
inseriti in gruppi diversi, operando sull’assegnazione compensativa dei
procedimenti ordinari o sulla combinata assegnazione a più gruppi;

– che venga favorita una
trattazione snella degli affari semplici, che gravano la maggior parte delle
aree specialistiche, mediante servizi centralizzati che coinvolgano competenze
di Pg e di segreteria e che venga incentivata la costituzione, nell’ambito
delle sezioni di Pg, di gruppi di ufficiali ed agenti a loro volta
specializzati in vista di una collaborazione prevalente con ciascuno dei gruppi
nei quali è strutturato l’Ufficio requirente.

Anche in questo senso l’impegno deve essere, quindi,
rivolto alla massima esaltazione di questo efficace strumento di
razionalizzazione dell’organizzazione e di valorizzazione professionale
intervenendo sui fattori distorsivi e disfunzionali che pure, talvolta,
evidenzia se non ben calibrato alle reali esigenze dell’Ufficio. 

D) il ruolo dei Procuratori Aggiunti che deve essere riempito di
contenuti; essi dovranno assumere, fra le altre, una funzione propositiva per
la circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio e per la creazione
delle buone prassi.

La riforma ha ridisegnato i poteri
 del Procuratore della Repubblica.

In tale quadro, il ruolo del Procuratore
Aggiunto assume un rilievo decisivo per conservare la gestione partecipata e
democratica degli Uffici di Procura e per evitare satrapie dei Capi degli
uffici.  Per tale motivo, il Procuratore Aggiunto, soprattutto nei grandi
uffici, deve essere l’anello di congiunzione fra le esigenze dei sostituti e le
decisioni organizzative del Procuratore; deve essere il fattore di sviluppo
della professionalità dei colleghi e dell’uniformità dell’esercizio dell’azione
penale, promuovendo e facendosi protagonista di riunioni periodiche del gruppo
che coordina, incrementando i protocolli investigativi ed i protocolli
organizzativi che facilitino i rapporti con gli altri uffici giudiziari,
l’avvocatura, la cancelleria; deve facilitare la conoscenza interna delle
indagini, lo scambio delle informazioni fra i colleghi, le riconversioni dei
sostituti da un gruppo all’altro al fine di non rendere traumatici gli
avvicendamenti decennali.

 

E) i rapporti con la stampa e, più in generale, la questione legata
alla gestione delle notizie
in possesso della procura in ragione delle
attività di indagine: il capo dell’ufficio ed i procuratori aggiunti
dovranno curare il rispetto e l’osservanza delle regole in materia di
rapporti con gli organi di stampa al fine di evitare sovraesposizioni
mediatiche del singolo che pregiudicano il buon andamento delle indagini.

L’art. 5 D.lgs. 20 febbraio 2006 n. 106
sancisce che, negli Uffici requirenti, i rapporti con gli organi di
informazione devono essere curati personalmente dal Procuratore della
Repubblica o da un unico magistrato dell’ufficio a ciò delegato. 

La finalità della nuova
disposizione è, da un lato, quella di limitare il numero dei magistrati
requirenti che possono intrattenere legittimamente rapporti con gli organi di
informazione e, dall’altro, quella di arginare la personalizzazione
massmediatica delle indagini, al fine di attribuirne lo svolgimento, in modo
impersonale, all’Ufficio.

Ma se questi sono i canoni
ispiratori del nuovo sistema, non può sottacersi che la corretta e completa
informazione sull’attività dell’Ufficio requirente è essenziale per
salvaguardare il diritto di cronaca ed il controllo pubblico sull’operato della
magistratura che sono valori imprescindibili in un sistema democratico. In
sostanza, se i magistrati non appositamente delegati non possono rilasciare
dichiarazioni e non devono fornire notizie agli organi di informazione relative
all’attività giudiziaria dell’ufficio, di contro è evidente che solo i
magistrati titolari delle indagini posseggono il bagaglio di conoscenze
essenziale per una corretta circolazione delle notizie nel circuito
giornalistico. In particolare, negli Uffici di grandi dimensioni,
contraddistinti da gravi emergenze criminali, l’interesse generale ad una
corretta informazione importa che la fonte ufficiale della notizia possieda una
conoscenza il più  possibile  approfondita dei fatti, tale da poterne
individuare anche i limiti di ostensibilità. Ed è di tutta evidenza, altresì,
che tale approfondita conoscenza dell’indagine e dei singoli atti non può
essere patrimonio del solo Procuratore capo o dell’unico magistrato delegabile
a tale incombenza. Ne consegue che, per gli Uffici requirenti di grandi
dimensioni, devono  essere valorizzati i
principi richiamati dall’art. 21 Cost. con riguardo ad un’informazione il più
possibile corretta, volta a salvaguardare le garanzie delle persone coinvolte
nelle indagini.  In questo senso, un
ruolo importante e significativo può essere svolto dai Procuratori Aggiunti.
Invero, ben potrebbe  rilasciarsi dal
Procuratore della Repubblica l’apposita delega di cui all’art. 5 D.L. 106/2006
ai  Procuratori Aggiunti coordinatori
delle sezioni alle quali appartengono i magistrati assegnatari delle indagini.
Ne consegue che, qualora venga convocata una conferenza stampa, a questa
potranno partecipare i Procuratori Aggiunti coordinatori del dipartimento nel
cui alveo è maturata l’indagine, per affiancare o sostituire il Procuratore capo.
In quest’ottica, i sostituti assegnatari, che non possono partecipare alla
conferenza stampa, dovrebbero aiutare i Procuratori Aggiunti delegati (o
direttamente il Procuratore capo), a predisporre il comunicato stampa da
diffondere in merito alle  indagini più
rilevanti per le quali occorra salvaguardare il diritto di cronaca. Ciò
consentirebbe un temperamento della gerarchizzazione dei rapporti tra il
Procuratore Capo ed i sostituti, una corretta diffusione delle notizie che
sarebbero veicolate dal magistrato che ha curato le indagini (coinvolto e,
quindi, responsabilizzato, nella preparazione della conferenza stampa, offrendo
elementi informativi ai fini della redazione dei testi e dei comunicati), ma,
al contempo, impedirebbe eccessi di personalizzazione e di protagonismo
nell’esercizio delle funzioni requirenti. In sostanza, anche nei rapporti con
gli organi di stampa e, più in generale, nella delicata sfera della vigilanza
in merito all’osservanza delle disposizioni dell’art.5 dl.106/2006, il ruolo
dei Procuratori Aggiunti ben potrebbe essere valorizzato per un efficace
contemperamento della gerarchizzazione con i principi costituzionali e sarebbe
utile, ad un tempo, per arginare derive personalistiche che finiscono per
compromettere, irrimediabilmente, non solo le indagini ma l’immagine stessa
della magistratura requirente.

3. – Quale ruolo per il CSM
nella valutazione dei criteri di organizzazione delle Procure?

Su tutte questa materie, e su altre
ancora, il Csm può e deve svolgere un ruolo essenziale di direzione ed
orientamento. Ruolo che non implica affatto l’adozione di una risoluzione
“omnibus” (in sè estremamente complessa) ma che può viceversa meglio maturare
attraverso i contenuti di una molteplicità di interventi: dalle motivazioni
nelle procedure di conferma alla risoluzione di quesiti; dai criteri di
selezione dei concorrenti ad un ufficio direttivo alle valutazioni di
professionalità, e così via.

In un contesto normativo che ha spostato
l’asse dell’intervento regolatore del Csm dagli atti all’attività ed al
complesso della figura del Procuratore, un ruolo efficace e penetrante di
orientamento, potrà e dovrà essere svolto dall’organo di autogoverno
principalmente con interventi sui criteri organizzativi e sulle prassi; è
pertanto indispensabile che il Csm disponga di un quadro sufficientemente
esteso ed approfondito della situazione degli Uffici,  delle prassi che si
sono nel frattempo instaurate, dei moduli organizzativi adottati. A tal fine
occorre che sia avviata sin da subito una approfondita ricognizione sui
territori, avendo presente che le dimensioni degli uffici e la loro
collocazione territoriale incidono fortemente sulle prassi e sui moduli
organizzativi.

Ma al Csm si chiede qualcosa in più. Un
sistema che riduca i margini di un controllo sui singoli atti ed enfatizza “in
cambio” il ruolo della verifica in ordine alla gestione dell’ufficio, può
funzionare solo se tutto il sistema dell’autogoverno opera in modo efficace e
virtuoso: valutazioni di professionalità rigorose, selezione dei direttivi e
semidirettivi imperniata su attitudini e qualità dei concorrenti, procedimenti
di conferma incisivi ed approfonditi rappresentano, nel quadro attuale, un
presupposto essenziale per mantenere al Csm un ruolo effettivo nel “governo”
degli Uffici di procura. E’ indispensabile una interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa entrata in vigore nel 2006: ad
ogni attribuzione di potere deve corrispondere una precisa responsabilità. In
questo quadro, inoltre, peculiare attenzione dovrà essere indubbiamente posta
sulla necessità che non si affermi un’interpretazione del D.L.vo 106 in chiave
gerarchica ed autoritaria: spetta in primo luogo all’autogoverno  l’onere
di delineare il profilo virtuoso che deve connotare la nuova responsabilità dei
Procuratori della Repubblica: in particolare dovrà esplicitamente esser
sottolineato il carattere eccezionale e “di extrema ratio” del ricorso a
strumenti regolativi quali il potere di revoca, il cui esercizio si presta
collidere con il rispetto dell’autonomia professionale del sostituto. 

 

4.- Criteri organizzativi,
ruolo responsabilità e garanzie dei sostituti procuratori

La posizione della magistratura
progressista rispetto ai meccanismi di funzionamento degli Uffici requirenti e
del rapporto fra procuratore e sostituti deve essere ripensata alla luce dei
cambiamenti registrati negli ultimi decenni.

In passato le Procure erano luoghi
caratterizzati da forte 
gerarchizzazione, nei quali la concentrazione del potere in poche mani
spesso produceva decisioni non trasparenti e scelte di politica giudiziaria
consonanti più con le aspettative del potere politico ed economico che con i
principi cardine  della giurisdizione,
primo fra tutti il principio di uguaglianza.

Il rigore e la tenacia con cui la
magistratura progressista ha combattuto per la creazione di un sistema di
potere diffuso e per l’affermazione di modelli di gestione improntati alla
trasparenza  all’interno degli Uffici di
procura, mediante meccanismi automatici di assegnazione degli affari e
attraverso la compressione dei poteri di avocazione e controllo dei capi, ha
consentito la sostanziale realizzazione, in concreto, di quei principi di
autonomia e di indipendenza che erano stati, 
fino ad allora, non di rado solo declamati. E si può dire che il
controllo di legalità,  che ha prodotto un
significativo salto di qualità nel contrasto alle mafie ed alla criminalità
politica ed economica, sia stato  senza
dubbio frutto anche delle nostre battaglie e dei cambiamenti  che hanno prodotto negli Uffici requirenti.

Non possiamo però nasconderci che la
generale affermazione di un potere diffuso non ha determinato solo effetti
positivi sul sistema: eccessi di protagonismo, iniziative eccentriche, Uffici
privi di coerenti linee di politica giudiziaria producono determinazioni
opposte in casi identici, realizzando visibili distonie che hanno finito per
disorientare l’opinione pubblica. In altre parole si è confusa, talvolta,
l’autonomia e l’indipendenza con una sorta di onnipotenza incontrollata.

La consapevolezza del fatto che la
necessità di porre rimedio a questi eccessi sia stata solo il pretesto per il
tentativo di reintrodurre, attraverso la riforma del 2006, un sistema
gerarchico capace di riportare la magistratura agli anni 70 non deve farci
dimenticare che quegli eccessi ci sono stati.

La risposta deve essere quella di
coniugare autonomia e responsabilità, non disconoscendo al Capo dell’ufficio il
potere di decisione finale ma condizionandolo ad una gestione condivisa,
trasparente e partecipata dell’ufficio.

Ciò significa:

–                    
predeterminazione
rigorosa  dei criteri di assegnazione
degli affari che ne garantiscano una distribuzione equa e razionale attraverso
un’automaticità temperata da deroghe motivate e trasparenti; 

–                    
istituzionalizzazione
ed effettiva realizzazione di riunioni periodiche, anche all’interno dei
gruppi, capaci di garantire una discussione ragionata e condivisa delle linee
organizzative e giurisprudenziali;

–                    
effettiva
realizzazione di meccanismi trasparenti di gestione e risoluzione degli
eventuali  contrasti fra capo e sostituti
che consentano agli organi di autogoverno locale e centrale di verificare il
corretto operato dei magistrati coinvolti e di tenerne conto in sede di
valutazione di professionalità e di conferma degli uffici direttivi. 

Se in questa direzione appaiono muoversi
le delibere del Csm del luglio 2007 e 2009, l’intervento consiliare del settembre
2011 appare non pienamente consapevole delle acquisizioni precedenti nel
momento in cui non valorizza adeguatamente le modalità dialettiche e trasparenti
attraverso le quali il Procuratore può determinarsi all’esercizio del potere di
revoca.

In proposito, deve ribadirsi la centralità per Md
di  proporre un’interpretazione diversa
della normativa sulla revoca dei procedimenti, ricollegandola a violazioni
oggettive dei criteri previamente definiti dal dirigente, allo scorretto
esercizio dell’azione penale oppure ad attività del sostituto in contrasto con
“l’evidenza processuale e giurisprudenziale”.

 

5. – Pubblico mistero e garanzie nel
processo

Uno dei temi storicamente centrali nell’elaborazione
di Md è quello delle “garanzie” e il rispetto dei diritti degli indagati ed
imputati.  E’ evidente che trattasi di
principio fondamentale e, allo stesso tempo, di categoria cosi ampia e
processualmente complessa da non consentire, in questa sede, una precisa
individuazione di tutte le implicazioni che essa ha nella quotidiana gestione
dei procedimenti e processi penali.

Ma ci pare fondamentale affermare e ribadire che la
difesa dell’attuale assetto del Pubblico ministero nell’ordinamento
costituzionale e processuale e l’opposizione a ricorrenti proposte di riforma
del suo statuto e dei suoi poteri in tanto riesce credibile e plausibile in
quanto il Pm sappia farsi carico dell’insieme dei compiti che l’ordinamento gli
assegna, ivi compreso quello, invero non sempre rispettato, di svolgere
“accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle
indagini”.

Se è vero, come abbiamo sempre sostenuto, che la
locuzione di parte-imparziale del Pm non è un ossimoro, ciò significa che in
concreto il Pm deve improntare il proprio ruolo –  cominciare dalla fase delle indagini nelle
quali ha un evidente dominio– a criteri di imparzialità, di rigorosa verifica
critica di ogni ipotesi accusatoria e dello stesso materiale investigativo,
proprio in questa fase ponendosi le già accennate esigenze di distinzione rispetto
al lavoro della Polizia giudiziaria.

Riteniamo che il rispetto delle garanzie e dei diritti
sia una delle fondamentali condizioni di legittimazione del potere giudiziario,
e, in esso, del ruolo del Pm anche per come esso è andato assumendo crescente
visibilità ed importanza.

21/01/2013

Articoli Correlati

Comunicati

L’elezione del Presidente e della Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati

Dopo quasi dieci ore di lavoro, il Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati ha eletto l’8 febbraio scorso il nuovo Presidente e la Giunta esecutiva dell’ANM, con indicazione largamente condivisa.

Comunicati

Un morto al giorno

Ieri si è verificato un decesso nel carcere di Prato 
Oggi si è verificato un decesso nel carcere di Firenze Sollicciano 

Comunicati

Md aderisce al Comitato per la difesa della Corte penale internazionale e dell’Onu

È evidente a tutti che è in corso un grave attacco politico al diritto e alla giustizia internazionale, e agli organismi internazionali ai quali è stato affidato, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, il compito di difenderli e di attuarli. 

Video

Marco Patarnello ospite di Piazza Pulita, La7

Marco Patarnello ospite di Piazza Pulita , La 7 (6 febbraio 2025)

Comunicati

The statements made by the Minister of Justice in Parliament today on the case Almasri are a serious wound to the rule of law

Instead of giving reasons for failure to transmit case records to the Attorney General of Rome’s office, for the imposition of precautionary detention to the Libyan citizen
Almasri and his surrender to the ICC, in execution of the arrest warrant issued by the Court, the Minister railed against the International Criminal Court. Not only by criticizing on the merits of the arrest warrant, but even naming it a “void act” and “completely messed-up”.