La risposta alla prima domanda parrebbe scontata, ma la pratica ci insegna altro. Quante volte i cancellieri ci hanno detto: “scusi, lei ha ordinato questo o quello, ma il Re.Ge (o il SICP) non me lo fa fare!” E quante volte abbiamo constatato errori di calcolo dei termini: due fascicoli iscritti a distanza di tre giorni, dove il primo viene a scadenza dopo l’altro.
I magistrati, nel loro insieme, hanno dimostrato di credere nella digitalizzazione, ma non intendono subordinare il diritto all’informatica: e tanto meno accettare che il concreto esercizio della giurisdizione sia condizionato, anche minimamente, dalle regole dell’informatica o dall’uso dello strumento.
Va colta l’occasione che nasce dal rinvio del PPT, e dalla previsione del “doppio binario” (trattazione cartacea e digitale) per rivedere dalle radici la gestione dell’informatizzazione, attribuendole il ruolo servente il diritto e la sua applicazione.
Il nuovo PPT funzionerà se gli obiettivi saranno individuati e attuati mediante il coinvolgimento dei magistrati che lo dovranno applicare: una partecipazione collettiva e orizzontale, capace di porre problemi e individuare soluzioni, tramite l’osmosi fra i saperi giuridici e quelli informatici.
Di questo confidiamo siano convinti anche chi, nei diversi ruoli, siede al ministero della giustizia, cui per Costituzione spettano “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”.
La seconda domanda è quindi legata alla prima.
Come tutte le rivoluzioni, anche quella informatica si è distinta subito per le sue potenzialità che sono cresciute esponenzialmente. Dall’accoppiamento fra un indirizzario e le etichette per la spedizione di lettere, all’intelligenza artificiale che offre soluzioni anche per complicate controversie.
Una rivoluzione che, oltre a essere governata, ha bisogno di gambe su cui camminare: programmi adeguati e mirati, che devono girare su macchine altrettanto adeguate e aggiornate.
Tocca al ministero garantire questi strumenti, ma l’azione, in questi anni, non ha condotto a risultati pienamente soddisfacenti, anche a causa di una comunicazione, fra magistrati sul campo e figure ministeriali, a dir poco carente.
È vitale, prima di tutto, assicurare le risorse materiali, rinnovando un parco macchine che è spesso obsoleto, già per i magistrati ma ancor di più per il personale amministrativo: risparmiare è miope, perché la macchina che rallenta il lavoro di cancelleria, la rete che lo blocca, costa molto più di un PC aggiornato.
E in secondo luogo i sistemi dovranno essere pensati e progettati tenendo come base l’ordinamento processuale, non viceversa. Chi progetta il software dovrà confrontarsi prima, durante e dopo, con i magistrati che quel software utilizzeranno, che conoscono sistema processuale e principi dell’ordinamento giudiziario, tabelle, supplenze, sostituzioni.
Questi ultimi mesi hanno dimostrato che l’esperienza e l’entusiasmo di molti magistrati è a disposizione del ministero: se si deciderà di utilizzarla, forse non ci sentiremo più dire dal cancelliere “ho visto il suo provvedimento, ma il SICP non me lo fa fare!”