Ma possiamo anche ragionare sul fatto che Il paradigma garantista del sistema penale è messo a prova da più fenomeni coincidenti negli effetti: ed è necessario percepirli, per difenderlo.
Vi è una tendenza a un uso della forza vissuto come positivo in quanto non impastoiato dal rispetto delle regole e dei diritti: si tratta di una deriva culturale non nuova, che, simmetricamente fonda la tutela estesa e irrinunciabile dei cittadini di fronte alla legittima disponibilità della forza da parte di soggetti pubblici qualificati.
Vi è un’amplificazione della visione delle regole come inutili orpelli, prodotta dalla celebrazione, nel discorso pubblico, della “forza risolutiva”, sia essa quella dell’esercizio di un potere politico buono ed efficace in quanto non limitato da controlli e bilanciamenti, sia essa quella del tutore dell’ordine attivo ed efficace solo quando può agire svincolato da limiti e controlli (in primo luogo quello giudiziario, che, invece, norme sovranazionali, costituzionali e processuali individuano come essenza di un ordinamento non totalitario).
Ma ci dobbiamo anche chiedere se vi sia un circuito negativo tra inefficienza (reale e dichiarata) del sistema giudiziario e fuga dalle sue regole e dai suoi principi: e se vi sia la necessaria condivisione culturale sui mezzi e sui fini del sistema penale tra i suoi attori pubblici: polizia giudiziaria, pubblici ministeri, giudici penali.
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