Editoriale

I numeri dell’in-Giustizia: vuoti di organico e responsabilità della politica

di Simone Spina
giudice del Tribunale di Siena, componente dell'Esecutivo di Magistratura democratica

Da lungo tempo, ormai, gli uffici giudiziari scontano una gravissima e acuta sofferenza, purtroppo divenuta costante realtà nel quotidiano funzionamento della giustizia: una patologica scopertura del ruolo organico della magistratura, che ad oggi ha raggiunto il picco di ben 1.529 posti vacanti. 

 


Un dato, quest’ultimo, destinato a dilatarsi ulteriormente nei prossimi tempi, senza che alcun percepibile mutamento, rispetto a tale inesorabile crescita, si possa attendere dalla presa di servizio dei 209 nuovi magistrati nominati con D.M. 23.11.2022, programmata peraltro
soltanto per fine gennaio 2024: non in grado, quindi, di innescare un’apprezzabile inversione di tendenza, se pensiamo che i futuri collocamenti a riposo, che interverranno da qui ai prossimi undici mesi, saranno pressoché pari al numero di tali nuove immissioni, quando ad esse non anche superiori.


Per restituire, allora, l’assoluta criticità dell’attuale stato di cose, basti pensare che gli odierni vuoti di organico, ove fossero mai distribuiti e raccolti esclusivamente in territori tra loro contigui, renderebbero completamente deserti tutti gli uffici giudiziari, sia di primo che di secondo grado, ricompresi nei distretti di Firenze, Bologna e Venezia: dai Tribunali ordinari alle Procure della Repubblica, dagli Uffici di Sorveglianza alle Corti d’appello, sino alle Procure generali presso di esse.


Così concentrate le vacanze di organico, in altri termini, non un solo giudice o consigliere di Corte d’appello, non un solo pubblico ministero, non un solo magistrato di sorveglianza si potrebbero mai incontrare in nessuna parte del Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Toscana, quand’anche ci si impegnasse a percorrere ed attraversare tali regioni per intero, in tutta la loro latitudine ed estensione.


Ad una popolazione formata da quasi tredici milioni di persone – quante sono quelle risultate risiedere in queste tre regioni, secondo i dati dell’ultimo censimento eseguito dall’Istat – resterebbe in tal modo preclusa la stessa possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti; verrebbe in radice privato, e così strutturalmente leso, il fondamentale diritto sancito dall’articolo 24 della Costituzione; si presenterebbe, in definitiva, una condizione di completa e totale paralisi del servizio giustizia, tanto nel settore civile quanto in quello penale.


È chiaro come un simile scenario costituisca un semplice esperimento mentale, che può tuttavia risultare particolarmente efficace nel portare alla luce la drammaticità dell’attuale situazione: perché consente di meglio comprendere quantomeno alcune tra le principali cause degli affanni che, quotidianamente, sconta la giustizia italiana.


Alle endemiche vacanze del personale di magistratura, infatti, devono comunque aggiungersi le altrettanto gravi carenze di personale amministrativo, che in alcuni uffici risultano superiori al 40% delle piante organiche, e le parimenti note inadeguatezze delle strutture e degli spazi – in taluni casi clamorosamente indegni e, in talaltri, ai limiti del degrado edilizio – dove pure, ogni giorno, viene amministrata la giustizia, in nome del popolo italiano.


Di ciò dá ben conto, del resto, anche il recente Evaluation Report 2022
 elaborato dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ), nel momento in cui, quanto a rapporto tra giudici e popolazione, colloca il sistema giudiziario italiano nella parte più bassa di una classifica formata da 44 paesi europei e 3 stati osservatori, assegnando al nostro paese un valore di 11,8 giudici ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media degli stati del Consiglio d’Europa individuata in 17,6 giudici ogni 100.000 abitanti: così impietosamente certificando che il numero di giudici presenti in Italia, ove rapportato alla popolazione, risulta inferiore di quasi il 50% rispetto alla media europea. 


La condizione di gravissima sofferenza in cui versano gli uffici giudiziari, inoltre, sempre più spesso si traduce in compressioni di quegli ambiti di intervento, quali ad esempio i trasferimenti dei magistrati, che la Costituzione ha voluto assegnare e riservare, secondo quanto previsto dall’articolo 105, al solo Consiglio superiore della magistratura.


La presenza di consistenti vuoti di organico, infatti, finisce inevitabilmente per limitare ed erodere gli spazi di azione propri del circuito del governo autonomo della magistratura: perché si ripercuote, innanzitutto, in contrazioni del numero dei bandi di trasferimento e della quantità di sedi messe a concorso; perché altera, d’altra parte, la stessa fisionomia dei trasferimenti ordinari, trasformandoli da strumenti volti a soddisfare le esigenze personali e familiari dei singoli magistrati, in momenti destinati alla redistribuzione e diversa allocazione, sul territorio nazionale, delle diffuse sofferenze di organico; perché contribuisce, in altri termini, a mutare la natura stessa della mobilità orizzontale, sempre più orientata a divenire un frangente in cui a spostarsi da un ufficio all’altro, ben più che le persone, sono piuttosto quei disagi che, proprio nei vuoti di organico, trovano la loro origine; perché rende, per altro verso, sempre più frequente il ricorso a strumenti – quali supplenze, assegnazioni o applicazioni – pensati per gestire straordinarie, isolate e temporanee difficoltà organizzative, e non già per governare una situazione di croniche e ordinarie sofferenze di organico, qual è quella che contraddistingue la più parte degli uffici giudiziari; perché rischia, infine, di relegare all’ambito della pura utopia quel complesso di misure in materia di benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati, pur previsto dalla normazione secondaria del CSM.


Una tale situazione, d’altro canto, non può che riverberarsi negativamente sugli stessi diritti delle persone e sulla complessiva capacità, per il sistema giudiziario, di offrire a queste ultime accettabili livelli di tutela, divenuti ormai di sempre più ardua realizzazione, in ragione di quella scarsità di risorse, spazi e personale che, da tempo, caratterizza la giustizia italiana.


Per mettere il sistema giudiziario italiano in condizione di operare a livelli degni di un moderno stato europeo, è allora indispensabile richiamare il Ministero della giustizia e, più in generale, il decisore politico, ciascuno secondo le rispettive attribuzioni, ad una doverosa assunzione di responsabilità: affinché le dotazioni organiche del personale di magistratura vengano presto adeguate alla media degli stati del Consiglio d’Europa; affinché si provveda, prim’ancora, all’improcrastinabile copertura delle attuali – e pur sempre inadeguate – piante organiche, mediante l’urgente indizione di bandi di concorso straordinari; affinché sia celermente attivata, nel frattempo, la procedura volta ad individuare le cd. sedi disagiate, per favorire la copertura degli uffici in condizione di maggiore affanno e afflitti da più marcate carenze di organico; affinché, una volta colmati gli attuali vuoti,
si pianifichi l’indizione almeno annuale di bandi di concorso, in modo da potere così coprire, per tempo, tutti i collocamenti a riposo prevedibilmente destinati a sopraggiungere nel corso del periodo, notoriamente pluriennale, in cui si articolano le procedure di reclutamento e si svolge il successivo tirocinio dei nuovi magistrati.


L’attuale condizione del sistema giudiziario italiano, in definitiva, impone e richiede al decisore 
politico di fare la propria parte, nell’interesse del servizio giustizia: mettendo in atto investimenti e sforzi straordinari, all’altezza di quegli sforzi e impegni che, da parte della magistratura tutta, vengono quotidianamente profusi per sopperire a così gravi carenze di risorse, spazi e persone, nel tentativo sempre più arduo di assicurare, nonostante tutto, la tutela giudiziaria dei diritti e l’ordinario svolgimento della giurisdizione.

01/03/2023

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