Tecnologia e processo

I rischi dell’udienza telematica

La democrazia non può tollerare che la giurisdizione resti sospesa, neppure nell’attuale fase emergenziale. Ma una volta cessata l’emergenza, bisognerà tornare alla pienezza di tutte quelle regole processuali che sono state previste in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione.

Stiamo vivendo un periodo eccezionale, speriamo irripetibile.

Lo stato di emergenza per ragioni di sanità, seguito alla pandemia da Covid-19, si è abbattuto anche sul sistema giustizia, sospendendo tutta l’attività giudiziaria (da ultimo – d.l. 23/2020, art. 36 – sino al termine dell’11 maggio 2020), con limitate eccezioni connesse allo stato di restrizione della libertà personale, nel processo penale, e alla vulnerabilità del destinatario della tutela, nel processo civile.

Le uniche attività non sospese vengono peraltro svolte, sia nel civile che nel penale, mediante l’utilizzo di strumenti telematici che consentono la trattazione da remoto. Si tratta di strumenti disciplinati da linee guida del Csm, da numerosi protocolli stipulati nei singoli distretti e ora anche al vaglio del legislatore; strumenti che sono senza alcun dubbio utili, per la fase dell’emergenza.

Siamo consapevoli di come il procedimento “da remoto” abbia consentito di contemperare la tutela del diritto alla salute di tutti e l’interesse a “non mandare in quarantena” la giustizia, in settori che sono fondamentali per la convivenza civile: la democrazia, infatti, non può tollerare la “sospensione” della giurisdizione, strumento e luogo di tutela dei diritti e di garanzia delle libertà.

L’impiego delle tecnologie telematiche per quanto riguarda la formazione e comunicazione, anche nel penale, di atti e documenti – a condizioni di reciprocità con l’avvocatura – è certamente un dato positivo e, sotto questo profilo, ci auguriamo che l’esperienza di questi mesi possa dare una accelerazione all’evoluzione positiva del sistema.

Tuttavia, riteniamo necessario ribadire che una volta cessata la situazione di emergenza – e mettendo in conto come anche per la giustizia, al pari di altri settori della vita del paese, si tratterà di un processo graduale – occorrerà tornare alla “normalità” e, con essa, alla pienezza di tutte quelle regole processuali che non sono affatto neutre, perché previste dal legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione.

Da questo punto di vista, l’udienza da remoto e la trattazione scritta nel processo civile rischiano di vanificare i positivi risultati della trattazione effettiva dei processi in udienza, a partire da un tasso di definizione conciliativa molto elevato. Il rischio è, allora, quello di un ritorno a udienze come inutili dispensatrici di termini e ad un giudice civile quale mero estensore di sentenze, al termine di un dialogo processuale ripetitivo.

Stesse considerazioni valgono, poi, anche per il processo penale.

L’udienza di convalida dell’arresto e del fermo, celebrata “a distanza”, deroga infatti alla regola processuale che richiede la presenza della persona arrestata o fermata dinanzi al “suo” giudice. Una regola che risponde ad evidenti ragioni di tutela della persona privata della libertà personale, non a caso garantita dal codice anche attraverso la previsione di termini ristretti per condurre in udienza l’arrestato, in ipotesi di celebrazione del giudizio direttissimo.

Nel momento in cui si deve valutare la legittimità dell’operato della PG è necessario che l’arrestato sia a contatto fisico con il giudice chiamato a decidere, in una posizione anche soggettiva di non condizionamento, che gli consenta un esercizio pieno del diritto di difesa; una posizione, questa, oggettivamente non garantita dalla condizione di stretto contatto con chi ha eseguito l’arresto o il fermo.

Ancora: nel nostro ordinamento, le ipotesi di processo a distanza sono disciplinate come eccezioni, in ragione sia del diverso valore assunto in un esame a distanza dalle dichiarazioni rese da testi e imputati, sia del valore del contatto continuo con il difensore. La presenza fisica, dunque, è garanzia non solo del diritto di difesa, ma anche del risultato epistemologico dell’acquisizione probatoria.

Analoghe perplessità fanno sorgere tutte le ipotesi che decontestualizzano la decisione, ipotizzando camere di consiglio delocalizzate, con gravi dubbi sulla riservatezza, sulla ponderazione e sul valore delle decisioni assunti in tali modi.

Crediamo, infatti, che al modello di giudice che auspichiamo appartenga la consapevolezza che la fatica, anche fisica, del contatto con tutte le parti del processo, e con l’imputato in primo luogo, sia necessaria; e che le decisioni giudiziarie, riguardando le persone e la loro esistenza, non debbano manifestarsi in un “altrove”, lontano e delocalizzato.

Per questo, vogliamo sottolineare che i cambiamenti introdotti, oggi necessari per affrontare la crisi senza paralizzare la giustizia, presentano rischi, come quelli evidenziati, che non si possono sottovalutare e che non sono accettabili, in tempi di normalità.

Occorre, quindi, rifuggire dalla tentazione di credere che tutte le facilitazioni permesse dalla crisi attuale possano costituire un buon lascito per il futuro. Questo pensiero, infatti, potrebbe divenire il pretesto, una volta cessata la fase critica, per introdurre o stabilizzare deroghe a quelle norme che la nostra legislazione ha introdotto con il fine di tutelare e garantire, al massimo grado, i diritti e le libertà delle persone.

10/04/2020

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