«Quando si scrivono le sentenze si deve essere attenti all’utilizzo delle parole perché non ci sia nulla che possa prestarsi a strumentalizzazioni». Ezia Maccora è presidente aggiunto dei gip di Milano. Giudice di grande esperienza, nella sua carriera ha seguito decine di vicende, compreso l’omicidio di Yara Gambirasio. E ha sempre gestito i casi con equilibrio e misura «perché nei processi occorre sempre considerare che ci sono due parti, l’imputato e la vittima, che meritano la massima attenzione. Ma stando attenti a non ferire la vittima».
Sono tre le decisioni che nelle ultime settimane hanno causato polemiche anche aspre, facendo emergere la possibilità che dietro le assoluzioni di imputati per stupro o lo sconto di pena concesso a imputati che avevano ucciso le compagne ci sia un ritorno al passato o una sorta di giustificazione rispetto alle condizioni psicologiche degli aguzzini. E così si è discusso della sentenza della corte d’assise Bologna che ha dimezzato la pena per un uomo che uccise la fidanzata e aveva una «soverchiante tempesta emotiva e passionale». È stato stigmatizzato il giudizio del tribunale di Ancona che ha assolto due imputati di violenza sessuale spiegando tra l’altro che «la vittima ha una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina». E ieri è esploso un nuovo caso con la pronuncia di Genova.
Maccora è esplicita: «Pensare che si possa parlare di un arretramento, addirittura di ritorno al delitto d’onore sulla base di queste tre pronunce, è fuorviante. Il codice prevede che nella valutazione della pena e nella concessione delle attenuanti il giudice deve considerare anche la personalità dell’imputato, l’ammissione di responsabilità e l’eventuale risarcimento del danno effettuato. Nella determinazione finale incidono anche le diminuenti del rito scelto. Se si decide di percorrere la strada del rito abbreviato lo sconto è automatico, al di là delle considerazioni nel merito della vicenda. Attenzione a richiedere, indipendentemente dai casi concreti, pene esemplari». La giudice ha letto la sentenza di Bologna e spiega come «Io stato psicologico dell’imputato è stato sicuramente descritto, ma non è stato il solo elemento che ha portato alla concessione delle
attenuanti generiche e quindi a una riduzione della pena». E allora perché inserire quella considerazione? «Non lo so, potrebbe essere anche il tentativo di dar conto del sentire di una Corte d’assise composta anche dai giudici popolari. È bene comunque sapere che la Corte di Cassazione ritiene possibile concedere le circostanze attenuanti generiche in presenza di particolari condizioni psichiche dell’imputato».
Maccora esclude anche che i due uomini ritenuti «non colpevoli» ad Ancona siano stati assolti perché la vittima era brutta. «In quel caso sull’assoluzione ha pesato l’attendibilità del racconto della giovane» chiarisce. E questo secondo lei giustifica i giudizi negativi e offensivi sul suo aspetto fisico? «Certamente no, visto che non si trattava di un elemento pertinente e per questo dico che bisogna prestare la massima attenzione al linguaggio utilizzato».
Sottolinea come «va considerato che le sentenze non sono riservate ai tecnici, o a una cerchia di giuristi. Bisogna usare un linguaggio comprensibile proprio perché diretto anche ai cittadini, evitando che si presti a strumentalizzazioni. Ed è per questo che occorre eliminare ogni elemento superfluo. Allo stesso tempo credo però che questa regola debba essere seguita da chi riporta la notizia senza estrapolare le frasi dal contesto complessivo, alterandone il significato».
Ieri è stato il ministro dell’Interno Matteo Salvini ad attaccare la sentenza e molti altri politici si sono accodati. Ma su questo Maccora tace e si limita a osservare: «Le sentenze sono lo specchio del nostro lavoro. Per questo devono essere scritte in maniera inappuntabile. Non dimentichiamo che chiarezza, pertinenza e comprensibilità della sentenza sono indici della qualità della democrazia e di un ordinamento».
Intervista a cura di Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera , 14 marzo 2019