La sospensione delle attività delle ONG impegnate nel soccorso in mare di
fronte alle coste libiche ha avuto conseguenze drammatiche, con la chiusura
dell’unica via di salvezza verso Paesi sicuri rappresentata per centinaia di
migliaia di migranti dall’intervento dei volontari da tempo impegnati su questo
fronte.
Dietro la riduzione dei salvataggi in mare, ottenuta con il sostegno alle autorità
libiche nella loro decisione di limitare l’area di intervento delle navi
impegnate nel soccorso umanitario, si consuma una gravissima e
sistematica violazione dei diritti fondamentali delle persone: in mancanza di
una via di accesso sicura e “legale” all’Europa, si nega il diritto d’asilo a
quanti, costretti alla fuga dalla guerra e dalla fame, non sono messi in
condizione di raggiungere i Paesi dove questo diritto possa essere esercitato;
con il trattenimento nei centri di detenzione libici i migranti, scampati alle
tragedie dei Paesi di provenienza, diventano vittime dei trattamenti inumani e
degradanti che in questi luoghi abitualmente si praticano.
Questo effetto giunge dopo vari mesi di costanti attacchi alle ONG. La
continua enfatizzazione della necessità di “regolamentare” gli interventi di
soccorso per ragioni di sicurezza e per lottare contro la tratta di essere umani,
evocando ipotesi di “cooperazione” e di “comunione di intenti” fra soccorritori
e trafficanti, ha ottenuto il risultato sperato. L’opinione pubblica ha ormai
metabolizzato l’idea che sia necessario mettere sotto accusa l’attività di
salvataggio e che sia legittimo porre “limiti” al nostro dovere di intervenire
per sottrarre al loro destino di morte i migranti abbandonati in mare dai
trafficanti.
Nella lettura strumentale ricorrente nella stampa e nel dibattito politico,
anche le recenti indagini avviate da alcune procure per accertare eventuali condotte
di favoreggiamento attuate nel soccorso in mare confermerebbero l’esistenza di un
“collateralismo” fra i soccorritori e i trafficanti di esseri umani. A
prescindere dagli sbocchi giudiziari di queste indagini, è evidente la
pericolosa semplificazione operata nel dibattito mediatico delle problematiche con
le quali si devono confrontare l’interpretazione e l’applicazione delle norme
penali nel contesto di attività di
soccorso delle quali è riconosciuta la finalità umanitaria e dove attori
privati devono sopperire alle carenze degli Stati operando in situazioni molto
complesse dove l’inazione o anche la sola prudenza può comportare la perdita di
numerose vite umane.
L’attacco alle ONG è parte di un più ampio progetto e dei suoi obiettivi:
portare in secondo piano le gravi responsabilità dell’Europa e dei Paesi
europei per non aver saputo e voluto sin ad oggi elaborare una politica di
gestione del fenomeno migratorio all’altezza delle sfide e del nuovo
ordine mondiale che questo fenomeno comporta; riproporre come prioritarie le
risposte in chiave securitaria, difensiva e repressiva alle emergenze legate
alla gestione dell’emigrazione, alimentando l’onda emotiva basata su insicurezza
e paura che in tutta Europa cavalcano populismi e neonazionalismi;
criminalizzare chi da tempo, con l’impegno umanitario nell’attività di soccorso
e di accoglienza e oggi con scelte coerenti con la propria identità e con le
finalità della propria missione, ha deciso di stare incondizionatamente dalla
parte dei diritti, dei valori di solidarietà e di pari dignità delle persone;
ridurre al silenzio quanti chiedono con forza alla politica nazionale ed
europea sull’emigrazione e sulla gestione della crisi umanitaria che ha
determinato, di restituire centralità a tali valori posti a fondamento delle
nostre democrazie e del progetto di Europa come luogo di diritti, di
accoglienza e di opportunità per tutti.
Il futuro delle nostre democrazie richiede oggi un impegno comune perché si immettano
nel dibattito pubblico forti anticorpi ai veleni mortali diffusi dal populismo
che nella propaganda sui temi dell’emigrazione ha trovato una delle sue più
potenti armi politiche. Per questo è necessaria la nostra resistenza culturale
alla logica del “nemico” che al
populismo fornisce linfa vitale e che è sempre alla ricerca di “nuovi nemici”.
Per questo occorre la nostra consapevolezza che restare dalla parte dei diritti
fondamentali dei migranti significa difendere la nostra democrazia e salvare la
nostra Europa dal progetto alternativo di società che nuovi populismi e neonazionalismi
perseguono, rinnegando i valori di solidarietà, di eguaglianza e di pari
dignità delle persone.
Mariarosaria
Guglielmi, segretario
generale di Magistratura Democratica
Intervento pubblicato sul quotidiano La Repubblica del 23 agosto 2017