Ripartire dalle disuguaglianze
Giudici e nuovi disuguali. I compiti della giurisdizione
1. Vedere le diseguaglianze.
L’esordio del congresso è stato un atto di umiltà intellettuale di cui possiamo essere orgogliosi.
Abbiamo
voluto un apporto di conoscenza e di analisi dall’esterno del nostro
mondo sulla fisionomia e sulle dimensioni della moderna diseguaglianza.
Abbiamo chiesto un aiuto per capire, per penetrare, per “vedere” le nuove diseguaglianze.
Ritenendo
che questa conoscenza e questa percezione siano la premessa necessaria
per comprendere quali siano i nuovi compiti dei magistrati civili e
penali nell’affermazione rigorosa del principio di eguaglianza formale e
nell’opera di rimozione degli ostacoli all’eguaglianza sostanziale che
si manifestano nel processo e nella realtà che nel processo si esprime e
si riflette.
Guardate : io credo che non solo i magistrati di Md –
che hanno sempre avuto nell’art. 3, secondo comma, della Costituzione
la loro stella polare – ma tutti i magistrati degni di questo nome ,
quando “vedono” che determinate norme sostanziali o processuali danno
vita ad asimmetrie nell’ambito dei processi o dettano regole che creano o
mantengono squilibri nella vita economica e sociale delle persone ,
siano portati a compiere uno sforzo interpretativo e applicativo del
diritto che cancelli o attenui quelle diseguaglianze.
Il punto è che spesso le diseguaglianze non si “vedono”,perché
ci appaiono naturali o almeno incancellabili ed inevitabili in quanto
indistricabilmente connesse con gli assetti sociali ,economici e
culturali e perché nascoste sotto la coltre della eguaglianza formale ,
sotto gli schemi dell’autonomia privata, sotto il peso del senso
comune.
In passato è stata necessaria una opera di identificazione
e di disvelamento per far emergere anche sul piano giuridico le tante
diseguaglianze esistenti tra le parti del rapporto di lavoro o per
mettere in luce la condizione di minorità dei pazienti negli ospedali o
l’impotenza dei singoli cittadini di fronte all’inquinamento ambientale
o all’operato delle agenzie pubbliche erogatrici di servizi.
E
la realtà di oggi ci dice che sono nate nuove forme di disuguaglianza
cui i giudici di orientamento democratico devono rivolgere la loro
attenzione ed il loro impegno.
Considerando questa attenzione e
questo impegno come prioritari, quali che siano le forme associative e
le modalità di presenza organizzata nella magistratura e nelle società
che sceglieranno nel corso del congresso.
2. Il primo compito: prendere sul serio l’eguaglianza davanti alla legge.
In quest’ottica il primo compito è prendere sul serio l’eguaglianza davanti alla legge.
Il
che significa portare in primo piano l’immenso valore dell’eguaglianza
nel processo (ed in particolar modo nel processo penale così affollato
di diseguali ) e valorizzare la figura chiave nella quale questa
eguaglianza si esprime, la persona.
Per spiegare meglio quello che
intendo, attingo ad uno splendido romanzo di Antonio Tabucchi che si
intitola “ La testa perduta di Damasceno Monteiro”.
Nella città portoghese di Oporto vi è stato un orribile delitto.
Un giovane è stato ucciso e decapitato.
Ad
occuparsi del caso sono un giornalista alle prime armi ed un maturo
avvocato che tutti chiamano “Loton” per la sua straordinaria
rassomiglianza all’attore Charles Laughton, indimenticabile protagonista
del film “Testimone d’accusa” di Billy Wilder.
Del
delitto , commesso da poliziotti corrotti per uno sgarro nel mondo della
droga, l’avvocato scova un solo testimone oculare che ha visto tutto.
Si
chiama Wanda ma in realtà è un uomo Eleuterio Santos : un travestito,
con un passato in un ospedale psichiatrico, schedato per prostituzione.
Un testimone così , dice scettico il giornalista: “Figuriamoci”.
E l’avvocato replica severo : “ è una persona… si ricordi questo , giovanotto, prima di tutto è una persona”.
Ecco.
Non dimenticare mai la persona che c’è nell’imputato, nel testimone,
nella vittima è opera quotidiana di eguagliamento da fare nel corso
delle indagini, nei dibattimenti, nelle sentenze.
Ricordandoci che giudichiamo “fatti” che possono essere sgradevoli, nocivi, perfidi, orribili .
Ma
che abbiamo il diritto di giudicare esseri umani solo come autori di
quei fatti, senza distribuire bollini di infamia, marchi di ignominia
perché appunto si tratta di “persone” la cui dignità il processo non può
né deve scalfire.
Ritorna qui il
dualismo dell’idea di eguaglianza nel processo penale , che corre lungo
tutta la storia di Magistratura democratica e ne ha ispirato il
garantismo penale, peraltro non senza qualche sbandamento.
Parlo del fatto che c’è una idea di eguaglianza emancipatrice,
in forza della quale nel corso delle indagini e nel processo ci
impegniamo a trattare l’ultimo cittadino o straniero condotto nelle aule
dei tribunali con le stesse garanzie e con lo stesso scrupolo che
riserviamo al cittadino o straniero colto e potente incappato nelle
maglie della giustizia.
E c’è un’altra concezione, sprezzante e punitiva,
del canone secondo cui “ tutti sono uguali davanti alla legge” che è
diametralmente opposta: la pretesa di trattare , nel circuito della
giurisdizione, il cittadino o lo straniero più colto o potente con la
stessa sbrigativa disinvoltura e sottovalutazione delle garanzie che
talvolta si riserva ai diseredati.
Nella stessa formula “ tutti sono eguali davanti alla legge “ sono racchiuse due idee opposte di eguaglianza –l’eguaglianza livellatrice
che livella verso il basso le garanzie di tutti, tutt’altro che
marginale nella pratica giudiziaria al punto che occorre darle
incessantemente battaglia e l’eguaglianza emancipatrice che rivendichiamo.
E’ questo il garantismo penale di cui non abbiamo solo parlato ma che abbiamo tentato di mettere in pratica.
Dal
nostro atteggiamento verso i fatti di protesta sociale ai difficili
processi della stagione del terrorismo, dai tanti processi nei confronti
di esponenti del potere economico e politico al caso Tortora , quando
il segretario ed il presidente di MD, Franco Ippolito e Giovanni
Palombarini, a nome di MD e sfidando la corporazione andarono a Napoli a
criticare la conduzione di quel processo.
E poiché non dimentico
che siamo in un congresso politico e non in un convegno di studi ricordo
che, dopo quella iniziativa, l’unità associativa si ruppe ( Presidente
dell’ANM era un magistrato di valore come Alessandro Criscuolo) per
ricomporsi su basi più salde un mese dopo.
Segno, questo, che non è
l’abdicazione, il silenzio , il mutismo di fronte ai dissensi interni
che salva il grande valore dell’unità associativa ma la chiarezza ed il
rigore dei principi e delle impostazioni di fondo di chi ha deciso di
lavorare insieme nell’ANM.
3. Una nuova mappa delle diseguaglianze.
Al
di là di questa sfera che resta essenziale, ci sono altri compiti più
sofisticati e complessi da svolgere per essere agenti –
nell’interpretazione delle norme e nella risoluzione dei conflitti – di
una eguaglianza sostanziale.
Compiti che per essere assolti reclamano una meditata visione della società in cui operiamo, una mappa delle diseguaglianze.
Quando
è nata Md i protagonisti di quella stagione avevano in mente , insieme
ad una idea forte della funzione del diritto e del giudice , una mappa
delle diseguaglianze.
Non dico che fosse una mappa assolutamente precisa, dettagliata, veritiera.
In qualche punto poteva essere falsata da un di più di ideologia.
Ma
era una mappa che individuava i soggetti in campo, le grandi strade da
percorrere, le principali asperità del terreno, le mete possibili.
Oggi quella mappa occorre aggiornarla.
Non basta, lo dico francamente, parlare ed occuparsi degli “ultimi” – i migranti, i vecchi e nuovi marginali, i detenuti.
Beninteso
gli “ultimi”restano il parametro indispensabile di ogni nostro
ragionamento, il metro della effettività dei diritti che sugli ultimi
appunto si misura.
Ma ci sono realtà più complesse , più
articolate, più sfumate da conoscere nella vasta categoria degli
svantaggiati, nella società delle molte minoranze.
Ci sono i tanti “penultimi” che alla giurisdizione si rivolgono nella speranza di ascolto o tutela.
Se
questi penultimi li facciamo entrare nella nostra sfera privilegiata di
osservazione , se li “vediamo” cercheremo e troveremo anche gli
strumenti di intervento.
Ciascuno nel suo campo di intervento,
sfruttando come forza i tanti mestieri che facciamo e le tante
competenze che accumuliamo nel campo del lavoro, della famiglia, della
economia, del contrasto al crimine in tutte le sue forme.
Per parte mia indico qui alcune di queste figure che equivalgono ciascuna a molti milioni di persone.
Il risparmiatore,
frastornato dalla complessità del mercato e, come ci raccontano le
cronache, non di rado ingannato e depredato, coinvolto in vicende
finanziarie che lo sopravanzano e lo travolgono.
I nuovi semianalfabeti,
gli analfabeti di ritorno del mondo digitale, sperduti nella
complessità della vita sociale che si digitalizza nelle modalità di
stipula dei contratti di servizio , nel funzionamento degli apparati
assistenziali e nel processo.
I precari permanenti,
ultimo approdo ed incarnazione di una classe lavoratrice frantumata
nella sua unità, dispersa nei meandri dei mille rapporti di lavoro
subordinato, parasubordinato, autonomo, divisa nel pulviscolo di
organizzazioni sindacali aziendalistiche , corporative e settoriali che
fondano il loro potere più sui veti che sui progetti.
A ciascuna
di queste figure non posso che dedicare pochi cenni tratti dalla mia
esperienza professionale, soprattutto negli ultimi otto anni trascorsi
in una Procura della Repubblica ad occuparmi di criminalità economica ed
informatica.
Soffermiamoci per un attimo sul piccolo risparmiatore , figura centrale nel moderno assetto socio-economico del paese.
Nell’epoca
del capitalismo finanziario – il capitalismo del nostro tempo –
l’asimmetria informativa del singolorispetto ai soggetti che operano nel
mercato finanziario è divenuta enorme.
Si ricorda spesso che gli
italiani hanno un basso livello di conoscenze economiche; ma non si
aggiunge che anche essi disponessero di più ampie cognizioni sarebbero
comunque disarmati rispetto alla complessità dei meccanismi societari e
finanziari.
Eppure gli strumenti che il diritto penale
tradizionale mette a disposizione del risparmiatore per crimini ai suoi
danni sono dei ferri vecchi – come la truffa o l’appropriazione
indebita.
Reati con pene edittali relativamente basse ,che non
permettono intercettazioni , spesso scoperti in ritardo rispetto alla
loro consumazione e facili a prescriversi a fronte di agguerrite
strategie difensive, che non ammettono il sequestro per equivalente.
Perfino
le possibili ruberie ai danni dei fondi pensioni non meritano alcuna
tutela speciale diversa da quella prevista per il reato di truffa.
La
più efficace tutela penale che ha potuto essere offerta al piccolo
risparmiatore, sia esso obbligazionista, azionista o depositante , è
stata sino ad ora una sorta di tutela indiretta e riflessa , dipendente
dalla attivazione delle più incisive forme di tutela apprestate per il
corretto funzionamento del mercato: le sanzioni penali previste contro
gli ingressi abusivi di soggetti privi di requisiti nel mercato
finanziario, la norma incriminatrice dell’ostacolo alla vigilanza , le
norme sulle manipolazioni del mercato e sull’insider trading.
Qualcosa
di simile alle vecchie concezioni dell’interesse legittimo riconosciuto
al privato rispetto all’interesse della amministrazione pubblica
tutelato in via prioritaria.
E’ questo un terreno di iniziativa
dei pubblici ministeri, di attenzione dei giudici, di proposta di nuove
norme che non può essere affidato solo ai gruppi specializzati di
pubblici ministeri di alcune grandi Procure o ai raffinati civilisti di
alcuni Tribunali ma che dovrebbe essere assunto come prioritario da
tutta l’area di magistrati di orientamento democratico.
E lo
stesso vale per le difficoltà , talora enormi , che la digitalizzazione
della società crea ad un’ampia cerchia di persone nello stesso momento
in cui rende più ricca , colta, varia l’esistenza della parte più
giovane, colta ed avvertita della società.
Il dramma – vividamente
rappresentato nel film di Ken Loach – di Daniel Blake, il cittadino
intelligente , ironico, orgoglioso che quando si ammala dopo una vita di
lavoro , finisce stritolato dalla dimensione impersonale di una
assistenza digitalizzata , dovrebbe essere oggetto di studio e di
riflessione dappertutto : nelle scuole, nelle sedi delle associazioni,
nei nostri convegni.
E deve essere tenuto presente anche nelle
aule di tribunale nel misurare l’adeguatezza delle nostre condotte e
nella revisione continua delle buone prassi che devono continuamente
adeguarsi alle trasformazioni del processo e dei suoi modi di
funzionamento nell’epoca della informatizzazione.
E infine nel
mondo dell’economia e del lavoro , di cui parlerà il collega Riverso,
occorrerà concentrarsi sulla forbice drammatica , sul dilemma che si
ripropone quasi ad ogni passo della vicenda economica.
Se si vuole
risanare una impresa – sia essa una banca , un’azienda di servizi o
altro – si deve ridurre drasticamente il numero degli occupati e con
esso la forza contrattuale di chi resta al lavoro.
Aumentando così
il numero dei disoccupati effettivi e virtuali per i quali non basta a
mio avviso postulare un reddito assistenziale che li mantenga nel numero
dei consumatori e senza che siano alle viste politiche pubbliche che si
facciano carico di questa drammatica forbice
Per affrontare questi ed altri temi non basta da sola la magistratura né è sufficiente l’opera giurisdizione.
Ma
magistratura e giurisdizione saranno più utili e giuste se opereranno
con la consapevolezza piena di queste problematiche, traducendo questa
consapevolezza in soluzioni concrete dei casi giudiziari spinosi, in
dubbi di costituzionalità delle norme in vigore, in motivi di proposta
culturale, tecnica, politica al mondo del lavoro, dell’economia, della
politica.
Aggiungo, infine, che per muoverci efficacemente su
questo terreno avremmo un vitale bisogno della nascita o della rinascita
di una “avvocatura democratica” , capace di organizzarsi per portare
in giudizio tutta una serie di istanze , dagli small claims, i
piccoli soprusi ai danni del consumatore o dell’utente, ai grandi
interessi collettivi negletti o dimenticati e di essere parte civile
rappresentativa nei processi per fatti di criminalità politico
amministrativa.
Si tratta in definitiva di non restare da soli –
né all’interno né all’esterno del mondo della giurisdizione – perché da
soli si è destinati ad essere inutili o sconfitti e di non rinunciare
ad idee che si sono affermate perché non sono rimaste solo idee ma sono
divenute azioni, prassi e modi di intervento.
Non è poco, non è facile ma è possibile e perciò occorre farlo.
(4 novembre 2016)