(foto di Giorgio Bergami)
ROMA – L’enorme tributo di affetto e rimpianto che lascia Sergio è l’eloquente dimostrazione della sua statura culturale e umana. Sergio ha incarnato al meglio un’utopia in cui molti di noi credevano, ma pochi hanno saputo coerentemente inverare nella loro vita professionale.
La fermezza dei principi, l’adesione appassionata al modello culturale del giudice strumento di legalità e promotore di eguaglianza sostanziale derivante dalla Costituzione, nutrite di costante impegno civile e comprensione umana ne hanno fatto un modello esemplare per molti magistrati della mia generazione e di quelle successive.
Sergio è stato un animatore della vecchia Magistratura democratica, un costante ispiratore del gruppo lavoro della corrente, in cui ha rivestito incarichi di vertice. Ha compiuto una luminosa carriera, è stato eletto al Consiglio Superiore, nominato presidente della sezione lavoro della cassazione. Riconoscimenti, tuttavia mai cercati, ma sempre derivati da unanime consenso e vissuti con puro spirito di servizio.
Raffinatissimo giurista, in rapporto con i migliori lavoristi dell’epoca (da Smuraglia a Ghezzi ad Alleva) ha speso la sua cultura in sentenze esemplari ma anche in innumerevoli convegni, associazioni culturali, articoli su prestigiose riviste giuridiche, sulla stampa di Md, ma anche su giornali, periodici non specializzati, quotidiani. Perché Sergio era un intellettuale permanentemente impegnato nel dibattito culturale e istituzionale, senza alcuno snobismo. Il suo impegno è proseguito anche dopo il suo collocamento in pensione.
Molte riforme in cui aveva profondamente creduto, dalla “giusta causa” per i licenziamenti allo Statuto dei lavoratori, sono state in gran parte smantellate, in un contesto di progressivo prosciugamento dello stato del welfare. Tuttavia il suo impegno resta ancora in gran parte un nobile ed attuale punto di riferimento per la cultura giuridica ed istituzionale del paese.
Sergio era un intellettuale dello stampo di Pino Borrè, di Salvatore Senese e di pochi altri che hanno saputo trasformare la Corte di cassazione da organo conservatore a giurisdizione aperta alle istanze sociali conformi ai principi costituzionali. Nel suo settore la doppia presidenza consecutiva di Salvatore Senese e di Sergio Mattone ha creato una giurisprudenza di forte evoluzione e di garanzia effettiva dei diritti dei lavoratori.
Ma dicevo che Sergio ha incarnato un’utopia: quella del giudice al servizio della collettività, che non crede nella carriera come strumento di autorealizzazione, ma nell’uguaglianza delle funzioni come riflesso della pari dignità sociale dei cittadini. Non gli è stato difficile perché è stato un uomo straordinario per gentilezza d’animo, mitezza, umiltà, appassionata e spontanea partecipazione al dolore e ai problemi degli altri.
Ci ha regalato il piacere di frequentarlo, il piacere della condivisione di affetti, amicizia, solidarietà. Ma anche il gusto della conversazione intelligente, di arte e di cinema, di letteratura e di politica, perché la sua dimensione di giurista non ha mai esaurito i suoi interessi e la sua dimensione intellettuale. La sua cultura, la sua opera di intellettuale e giurista, trasfuse in un numero elevatissimo di scritti, restano come grande eredità per noi e per il Paese. La sua straordinaria umanità, purtroppo, ci mancherà sempre.
Gianfranco Viglietta
(31/10/2015)