ROMA – Non vuole e neppure può entrare nel merito della strana guerra tra il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e il l’aggiunto Alfredo Robledo. «Il Csm sta valutando, a breve assumerà la sue decisioni e ho totale rispetto del lavoro del Consiglio superiore» dice Anna Canepa, magistrato in forza alla procura nazionale Antimafia e da più di un anno segretario di Md, la corrente della magistratura di cui Bruti è uno dei leader storici. È però molto preoccupata per quello che sta accadendo in questi mesi perché «si tratta di un’operazione che si presta a strumentalizzazioni politiche».
Con quale obiettivo?
«Privare della sua credibilità l’ufficio della procura di Milano che invece è, anche per l’opinione pubblica, simbolo di efficienza, della tutela della giurisdizione e del rispetto della legalità. Il tutto pur avendo dovuto affrontare negli ultimi vent’anni alcune delle inchieste più delicate per il nostro paese. Va chiarito infatti che in tutta questa storia non è mai stata in discussione la correttezza e la legalità dell’azione della procura. I contrasti sono stati enfatizzati da una visione personalistica e non unitaria portata avanti da qualcuno. Viceversa, le indagini milanesi hanno sempre mirato ad un criterio di funzionalità ed efficacia dell’azione penale».
Quello che emerge dalle carte che sono il cuore dell’istruttoria a palazzo dei Marescialli, sembra avere molto poco di politico e chiama in causa, invece, la gestione e la titolarità dell’azione penale.
«Quella che voi, i giornali, chiamate guerra tra due colleghi che probabilmente danno una lettura diversa di quelle che sono le regole dell’esercizio dell’azione penale, è un fatto che riguarda profili organizzativi interni dell’ufficio di procura. Uffici in cui non ci sono regole rigide, come nei tribunali, ma in cui si devono applicare criteri organizzativi più elastici anche se ispirati al rispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale coniugata con la trasparente funzionalità dell’ufficio. Tutto questo nella procura di Milano non è mai venuto meno».
Torniamo a quello che lei chiama «obiettivo politico».
«Tutta questa grancassa ha un significato puramente politico. La prova è stato quando un paio di settimane fa (il 16 maggio, ndr) un consigliere togato di Magistratura indipendente durante il plenum a cui ha partecipato il ministro Guardasigilli Andrea Orlando ha sollecitato un’ispezione ministeriale presso la procura di Milano».
Sta dicendo che Mi, la corrente della magistratura che guarda più destra e vostra principale concorrente, sta utilizzando questa vicenda?
«Chi è membro delle Commissioni investite del caso, non può fare una simile richiesta con l’istruttoria in corso».
È una sua facoltà.
«È invece un fatto gravissimo perché oltre ad alimentare in maniera dolosa le polemiche su giornali e media, strumentalizza la vicenda in un contesto del tutto improprio. Quella mossa è stata illuminante per svelare il reale intento di questa operazione».
Che non è quello di definire in maniera più chiara e netta i confini di gestione e titolarità dell’azione penale? Cioè chi deve fare le indagini, le deleghe, i poteri del procuratore, la struttura gerarchica dell’ufficio di procura.
«Su questo ne possiamo e ne dobbiamo parlare. Ma tra di noi, nelle sedi opportune, non in questi termini e armando i colleghi uno contro l’altro. Ribadisco: questa vicenda, e non per colpa del procuratore di Milano, ha assunto connotati fortemente politici. E allora, almeno per quanto mi riguarda, la scelta di campo è obbligata».
Operazione politica, perché?
«È nuovamente in atto il tentativo di delegittimare la giurisdizione attraverso l’enfatizzazione e la rappresentazione distorta dei rapporti tra i magistrati di uno degli uffici di procura più importanti d’Italia con l’obiettivo ultimo di privarlo di credibilità agli occhi dell’opinione pubblica».
Per ora stanno rischiando soprattutto alcuni processi. L’altro giorno è stata sollevata la legittima suspicione nel processo all’ex coordinatore del Pdl Guido Podestà. «Appunto, si comincia dai processi – che a mio avviso non sono in discussione anche se le loro tempistiche sono stati oggetto di valutazioni diverse tra il procuratore e l’aggiunto – per poi andare oltre. E magari proseguire per realizzare quella riforma della giustizia che una parte del Paese tenta da vent’anni di raggiungere».
Certe tensioni dovevano essere risolte senza approdare al Csm?
«Ormai è successo. Ma attenzione perché questa non è una resa dei conti tra singoli colleghi più o meno rappresentativi bensì un attacco alla autonomia ed indipendenza della
magistratura. In particolare di quella requirente».
(intervista pubblicata su l’Unità del 3 giugno 2014)