Vorrei arrivare subito alle stelle e alle sbarre evocate dal titolo, ma lasciatemi un secondo per dare pochi numeri e segnalare che negli ultimi cinque anni si registrano: -9.000 detenuti presenti negli istituti (6.000 solo nell’ultimo anno); +5.700 posti disponibili nelle strutture; -8.500 detenuti in custodia cautelare; +17.000 condannati in regime di misure alternative (per un’analisi dettagliata rinvio all’intervento di G.Torrente pubblicato oggi su Questione Giustizia).
E, guardando al futuro, segnali incoraggianti possono venire dal fatto che per oltre 14.000 detenuti il titolo di reato è quello dell’art.73 del d.P.R. 309/90, per il quale gli interventi della Corte costituzionale e della nuova legge promettono pene meno gravi e meno carcere; così come sono stimati in 7.000 i detenuti che potranno trarre vantaggio nei prossimi tre semestri dalla c.d. liberazione anticipata speciale. Sono numeri lontani dal condono del 2006, ma sembrano finalmente numeri “strutturali” e frutto di un’idea che può avere sostanza nel tempo.
Perché il tema che abbiamo davanti non è tanto quello di dare “una” risposta alla sentenza della Corte Edu nel caso Torreggiani e altri, per quanto probabilmente senza quella sentenza e senza i richiami del Capo dello Stato le cose in Italia sarebbero oggi diverse. Il tema è quello di modificare l’approccio culturale e gli strumenti di lavoro in modo da rendere le carceri un luogo conforme ai principi fissati dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali; un luogo conforme a criteri di umanità e non qualificabile come esempio di “tortura”.
Meno carcere e più vita è un obiettivo che può essere raggiunto. Perché il sistema carcerario è cambiato, nonostante tutto, da quando ho iniziato il mio lavoro trenta e più anni fa. Un luogo chiuso e separato si è aperto a esperienze nuove, a esperimenti, a forme di lavoro impensabili. Esperienze di nicchia, lo sappiamo, ma nello stesso tempo modelli e storie che hanno conosciuto aggiustamenti, stanno facendo rete e possono essere esportate se solo gli altri istituti recuperassero spazi e opportunità.
“Più stelle meno sbarre” è il titolo di una iniziativa organizzata da Sapori Reclusi che sta portando alcuni cuochi “stellati” a dedicare un pò del loro tempo per cucinare dentro le carceri, per preparare cibi con detenuti e guardie carcerarie e a partecipare a cene di finanziamento fuori e dentro le mura di un carcere. Un carcere dove si produce un’ottima birra artigianale secondo un modello di lavoro che forma mastri birrai, offre ai detenuti un mestiere ricercato e richiama delegazioni dall’estero per capire come sia possibile (guardate il sito di “saporireclusi”).
Professionisti, imprenditori, tecnici stanno da tempo arricchendo le opportunità di lavoro e di formazione dei detenuti in tutte le occasioni in cui i carceri lo consentono. Agricoltura e vinicoltura, sartoria, stamperia, servizi …. sono attività che vincono la noia, che creano rapporti positivi, che aprono prospettive per la libertà. Sarà banale, ma i dati sui risultati e sulle recidive dicono che funziona.
Perché queste iniziative non rimangano realtà di nicchia occorrono magistrati di sorveglianza che investono sui progetti, provveditori e direttori che credono e rischiano, personale di sorveglianza che viene coinvolto e dà il proprio contributo. Ma occorrono, prima di tutto, carceri umane, non soffocate dai numeri, non immodificabili nelle strutture, ragionevolmente adeguabili alle nuove esigenze.
Non più carcere nè più carceri, dunque, ma meno carcere e più stelle, più lavoro, più vita di relazione.
Vogliamo pensare che i cambiamenti di questi ultimi anni siano un segnale che la politica ha capito e che l’amministrazione sta facendo la propria parte. Anche per evitare di buttare in risarcimenti postumi i fondi che potremmo investire in interventi strutturali e preventivi.
(28 maggio 2014)