Documento Congressuale gruppo lavoro

di Esecutivo di Magistratura Democratica

Diritto del lavoro al tempo della crisi

XIX CONGRESSO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA

QUALE GIUSTIZIA AL TEMPO DELLA CRISI

 Come
cambiano diritti, poteri e giurisdizione

Roma, 31 gennaio/3 febbraio 2013

 

DOCUMENTO PER IL CONGRESSO DEL GRUPPO LAVORO

 

DIRITTI DEL LAVORO AL TEMPO DELLA CRISI

 

Nei due anni trascorsi
dall’ultimo
Congresso la metamorfosi del lavoro, del mondo del lavoro e del diritto che lo
regola, si è completamente compiuta.

La finanziarizzazione del
nostro orizzonte costituzionale, recentemente consacrata dall’introduzione del Fiscal Compact, ha strattonato tutti quelli che i giuristi del
lavoro consideravano imprescindibili capisaldi: l’inderogabilità della normativa in ragione della maggiore
debolezza dei lavoratori, la centralità del rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, la
tutela reintegratoria dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il ruolo della
contrattazione collettiva nazionale.

L’attrazione del contratto di lavoro nella
dimensione privatistica, ad esempio attraverso la possibilità introdotta dalla legge 183/2010 di prevedere
nei contratti individuali tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo di
licenziamento (sia pure con l’assistenza o consulenza delle commissioni di
certificazione), pretermette tutte le esigenze di tutela che da sempre sono
ricollegate alla minore forza contrattuale di chi si obbliga a rendere la
propria prestazione in cambio di una retribuzione essenziale per vivere.

La precarizzazione dei
rapporti di lavoro, perpetuata in nome di insopprimibili esigenze di
flessibilità a loro volta indotte dalla imperante competitività, ha da ultimo compiuto un altro passo avanti
con la legittimazione del primo contratto a termine acausale di lunga durata (12 mesi), introdotto dalla cd. Riforma
Fornero.

Lo smantellamento pressoché integrale dell’articolo 18 e con esso del diritto al posto
di lavoro in caso di licenziamento illegittimo ha destabilizzato l’intero sistema di tutela dei lavoratori, non
solo eliminando lo schermo protettivo dietro cui potevano trovare concreta
possibilità di attuazione tutti gli altri diritti ancora formalmente
riconosciuti  (ad esempio, di libera
manifestazione del pensiero, di associazione, di tutela della salute) ma  provocando un mutamento, anche lessicale,
nella percezione della tutela reintegratoria.

Nella legge n. 92 del 2012
la reintegra nel posto di lavoro, tradizionalmente ricondotta ad un
risarcimento in forma specifica in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, è invece presentata come una sanzione in danno
del datore di lavoro e tendenzialmente applicabile in ipotesi di comportamenti
datoriali discriminatori o fraudolenti.

Il che equivale a ridurre
la reintegra, un tempo punto di forza dei diritti del lavoro, a risposta
sanzionatoria verso comportamenti datoriali direttamente lesivi della dignità dei lavoratori.

La valorizzazione della
contrattazione collettiva di prossimità, preannunciata dalla rottura dell’unità di azione sindacale, con possibilità di derogare non solo alla contrattazione
nazionale ma alle stesse previsioni di legge, conferma il riconoscimento di un
primato assoluto alla parte imprenditoriale nella organizzazione del lavoro.

Il culto della flessibilità in ogni momento del rapporto di lavoro
(tanto “in entrata” quanto “in uscita” e nella individuazione delle regole) mentre ha
impoverito i lavoratori, non ha giovato al mercato del lavoro, se è vero che si conta oggi la più elevata percentuale di disoccupazione dell’ultimo decennio in termini assoluti (circa il
12% della forza lavoro) ed anche con riferimento alla disoccupazione giovanile
(arrivata alla cifra record del 37,1 % pressochè raddoppiata dal 2007).

Gli aspetti fin qui
elencati, e sui quali si rinvia all’analisi oggetto del Commentario sulla Riforma Fornero,
pubblicato sul sito MD, costituiscono null’altro che il versante giuridico della cupa crisi che
affligge, in termini di povertà e disuguaglianze, moltissimi cittadini di questo paese.

La giustizia del lavoro,
che in era berlusconiana, con il cd. collegato lavoro, si voleva dribblare
favorendo forme di arbitrato e certificazione (si rinvia sul punto a “Il collegato lavoro: ancora una legge per la
riduzione dei diritti”, Q.G. n.6/2010), è stata resa sempre più inaccessibile, sia aumentandone il costo
(con la sostanziale imposizione della condanna alle spese in caso di
soccombenza e l’estensione del contributo unificato che elimina la
previgente gratuità del processo del lavoro), sia omettendo qualsiasi
intervento che a livello organizzativo, per numero di giudici e di processi,
potesse garantire celerità nella trattazione (la corsia preferenziale –  a costo zero –  introdotta dalla legge n. 92 del 2012
riguarda unicamente i processi di impugnativa di licenziamenti per cui si
applichi la tutela reale dell’articolo 18, così moltiplicando le disparità che a parole si dichiarava di voler
combattere, ed è stata adottata al dichiarato fine di evitare alla parte
datoriale soccombente costi eccessivi connessi a licenziamenti dichiarati
illegittimi).

Il percorso a senso unico
guidato dalle esigenze dell’economia è stato attuato anche attraverso eclatanti prove di forza,
come nella vicenda Fiat in cui pronunce giurisdizionali di antisindacalità e discriminatorietà della condotta imprenditoriale non hanno
impedito lo svuotamento di fatto del ruolo del sindacato, reso possibile dalla
rottura della antica unità di azione (solo formalmente arginata dall’Accordo interconfederale dell’11 giugno 2011)  e da una normativa, l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori,
come incautamente modificata dall’esito referendario del 1995, che un accorto legislatore
avrebbe dovuto tempestivamente modificare.

La svolta, anche
legislativa, nel senso del primato del potere imprenditoriale, presentato come
essenziale ai fini del pareggio di bilancio e della riduzione del debito
pubblico,   costituisce una tappa
avanzata di quella lotta di classe che nella accezione storica attuale,
descritta da Luciano Gallino (“La lotta di classe dopo la lotta di classe”, ed. Laterza, 2012), muove dall’alto verso il basso, dal capitale al lavoro e
che consegna oggi una sistema che ignora o dimentica il peso democratico del
lavoro.

Se è abbastanza semplice l’analisi di quanto accaduto nel corso degli
ultimi anni e per effetto di un legislatore preoccupato unicamente del monito
europeista, sostenuto e giustificato con dati statistici presto rivelatisi
vacui e fallaci, dalla flessibilità come condizione per favorire l’occupazione alla necessaria eliminazione dell’articolo 18 dello Statuto per sollecitare
investitori stranieri, ardua è invece la strada che potrebbe restituire dignità al lavoro. A cominciare anche da una Europa
che sui temi del lavoro e dell’occupazione “decente” dovrà anche ritrovare lo slancio dei primi anni del XXI secolo
senza delegare alla BCE o ai poteri economici degli Stati più importanti le scelte cruciali in materia, ma
orientando la barra verso la coesione sociale ed i diritti di cittadinanza che
rappresentano – nel mondo – il modello più coerente degli ultimi 70 anni dello stato di diritto.

Prima ancora sarà necessario ricreare una contaminazione tra l’economia ed i valori, quelli espressi dalla
nostra Carta Costituzionale, per ricondurre la prima in un alveo di
compatibilità con i principi democratici e con le scelte valoriali di
tutela, cercando di interrompere quel “circolo vizioso di carattere epistemologico, per il quale
da un lato i modelli economici creati dalla teoria finiscono per essere
identificati con la realtà, e dall’altro si pongono, in nome dell’utilitarismo, delle norme di razionalità economica che ignorano completamente la
Costituzione”, (L. Ferrajoli, assemblea Economia Democratica
15.12.2012).

Confidando in un progetto
di New Deal Europeo, come suggerisce Barbara Spinelli (“Moderatamente europeo”, La Repubblica 27.12.12) , quindi,  nella ripresa degli investimenti e nell’aumento delle risorse del bilancio dell’Unione a sostegno di piani europei nella
ricerca, nelle infrastrutture, nell’energia, nella tutela ambientale, si dovrà intervenire, 
nel nostro ordinamento lavoristico, con una serie di misure atte a far
camminare il mondo del lavoro su un terreno di responsabilità e lealtà.

Sarà inevitabile una riduzione ad unità dei vari contratti di lavoro nell’ottica di maggiore effettività sia quanto al contenuto del rapporto sia
quanto al destinatario della prestazione.

Occorrerà riprendere il criterio unificante di dipendenza economica, quale substrato
delle necessarie forme di tutele, cancellando le fattispecie di
parasubordinazione e più o meno false partite Iva costruite su una autonomia solo
di facciata, e non significativa nel contesto di protezione dei diritti dei
lavoratori, e valorizzando la comunanza delle tante persone che nessun’altra risorsa possiedono per procurarsi un’esistenza libera e dignitosa se non la
propria forza lavoro.

Sarà necessario stimolare, partendo da questo
elemento unificante, una nuova coscienza di condivisione dei diritti – se si vuole anche di classe, di appartenenza
– che possa ridare forza alle esigenze di tutela del lavoro, della sua dignità, tuttora elemento portante della nostra
Costituzione, fino a produrre appropriati cambiamenti normativi.

Prioritario sarà anche l’intervento per una disciplina normativa sulla
rappresentanza sindacale, attuativa dei criteri costituzionali, in grado di
veicolare le istanze concrete dei lavoratori e garantire il peso effettivo
della “maggioranza” dei lavoratori.

Diviene essenziale inoltre
promuovere da un lato forme di più intenso coinvolgimento dei lavoratori e dei loro
rappresentanti nella gestione aziendale e dall’altro introdurre forme più penetranti di intervento pubblico, non solo
attraverso il reddito di cittadinanza e attraverso la razionalizzazione del
sistema degli ammortizzatori sociali (totalmente mancata con la Riforma
Fornero), ma nella prospettiva di una mobilità compatibile con le esigenze del mercato e
intrisa di formazione, manutenzione e promozione delle esperienze e potenzialità.

Occorrerà provare a realizzare un sistema che sappia
guardare al futuro e che non rappresenti, come quello attuale, un tragico e
umiliante ritorno al passato, quello antico a cui fa cenno il professor Umberto
Romagnoli nella postfazione al nostro Commentario.

 

I coordinatori: Carla Ponterio e Roberto
Riverso

con la collaborazione di Fabrizio Amato,
Sergio Mattone e Rita Sanlorenzo

18/01/2013

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