Quali
giudici del lavoro?
Nell’ultimo
numero della Rivista italiana di diritto del lavoro, in un saggio sulla figura del giudice del lavoro, Riccardo Del Punta
(ordinario di dir. lav. all’università
di Firenze) formula una valutazione tutto sommato positiva sul ruolo svolto da
tale giudice dinanzi all’evoluzione della normativa sostanziale del lavoro ed
in particolare a fronte della stagione della c.d. flessibilità.
Spiace
però che, in apertura del suo articolo il Prof. Del Punta, abbia avvertito la necessità
di riservare un esplicito distinguo – di natura “collettiva” – a proposito dei giudici del lavoro
appartenenti a Magistratura Democratica, che l’autore individua in “quelli che si riconoscono nella rivista
Questione Giustizia” (che, come noto, è promossa dalla stessa corrente di
MD). Verso questi giudici egli solleva l’accusa (o comunque il sospetto
bruciante) di dare adito a “controindicazioni
di natura ordinamentale” o se non altro a problemi “di immagine”; e tutto questo, per aver elaborato un modello di
interpretazione del ruolo giudiziario che si fonderebbe sul fatto di essere “orgogliosi di schierarsi a favore della
difesa dei diritti dei lavoratori”. Con in più l’aggravante
dell’incoscienza, ovvero di non essersi neppure accorti, i medesimi giudici, dei
gravi problemi cui andrebbero incontro e darebbero luogo.
Voglio
partire da questa ultima notazione. Anzitutto
per tranquillizzare il prof. Del Punta sul livello di autocoscienza dei
giudici del lavoro iscritti ad MD: penso gli sarà noto che Magistratura
Democratica nasca negli anni 60 proprio per porre mano ad un’opera di
demistificazione nei confronti del mito della neutralità ( o della c.d. apoliticità) del giudice, attraverso cui per lungo tempo si
era inteso in realtà giustificare una condizione di subalternità di cui si era
ammantata la magistratura verso forze di governo e poteri forti.
Ciò
MD ha fatto rivendicando il carattere indefettibilmente politico della
giurisdizione e ponendosi come obiettivo quello di contribuire all’opera di inveramento della
Costituzione; in particolare dell’art. 3, 2° comma.
Stupisce quindi
che il prof. Del Punta sia arrivato a confondere l’ispirazione culturale dei
giudici del lavoro iscritti ad MD (radicata nella Costituzione) con il rispetto
della terzietà del giudice; un principio dal quale si può ricavare il
disinteresse totale del giudice nei confronti delle parti della specifica contesa
(quali esse siano); il rispetto delle norme e della garanzia del contraddittorio;
ma non si può certo farne discendere l’indifferenza del giudice ai valori
presenti nelle leggi e discussi nella società; indifferenza che, oltre ad
essere controproducente in chi è chiamato giudicare, sarebbe comunque
impossibile; a meno che il Prof. Del Punta non prediliga la prospettiva di avere
un giudice dalla testa vuota (empty-headed) piuttosto che uno con la
mente aperta (open-minded),
come direbbe Antonino Scalia giudice della Corte suprema degli Stati Uniti.
Quanto ai
problemi di immagine, si fa fatica a capire a cosa intenda riferirsi il prof.
Del Punta. In realtà MD ha sempre e soltanto pensato
di poter agire come un “intellettuale
collettivo”; e lo stesso fanno i giudici del lavoro iscritti alla corrente, allo
scopo di promuovere (come ha scritto bene, Alfonso Di Giovine) sensibilità
comuni e un comune atteggiamento culturale di fronte all’interpretazione della
legge e della Costituzione, di fronte al
ruolo della giurisdizione attraverso un confronto delle idee che partendo dai
problemi della realtà, dalla politica,
dal sociale, arrivasse al diritto ed alla giurisdizione. E’ questo quello che
in MD chiamiamo “il punto di vista esterno”, inteso
come approccio metodologico in grado di permeare per intero il ruolo del giudice.
Per
il resto, se è vero che
i giudici che si riconoscono in MD cerchino di
interrogarsi per mantenere aperta una via giudiziaria al costituzionalismo
emancipante, è anche vero che il vincolo associativo che tiene insieme gli
aderenti a Md, oltre a non essere trasceso nel corporativismo di altre
correnti, non ha mai preteso di interferire nella jurisdictio dei singoli
giudici.
Ci
sembra, in definitiva, che possa valere per il prof. Del Punta la stessa
obiezione di strabismo, su cui aveva pronunciato parole non contestabili Giuliano Vassalli
(già nel 1973) : “per quel che riguarda la “scandalosa
politicizzazione”di MD, allo scandalo “si è cominciato a gridare solo da
quando sono comparsi dei giudici progressisti o di un colore politico prima
poco consueto. Fino a quando, dichiarati o non dichiarati, i giudici erano
prevalentemente conservatori e spesso reazionari, qualunque decisione veniva
accettata da coloro che adesso menano tanto scalpore, come perfetta espressione
del sistema. E della «politicità» del giudice sembrava che fossimo in pochi ad
accorgerci”.
Roberto Riverso Carla Ponterio
Coordinatori del Gruppo giudici del
lavoro
Magistratura Democratica