Da alcuni mesi almeno alcune indagini svolte dalla Procura della
Repubblica di Palermo sono accompagnate da forti tensioni, sia interne
al procedimento e al rapporto con altre autorità e istituzioni sia
esterne e legate al dibattito pubblico. La progressiva drammatizzazione della vicenda appare, purtroppo,
destinata a non attenuarsi con l’approssimarsi dell’udienza preliminare e
già oggi fa ricorso ad argomenti che non possono essere condivisi. In
particolare, i documenti resi pubblici negli ultimi giorni e i commenti
apparsi sugli organi di stampa impongono alcune precisazioni:
1. Deve considerarsi impropria ogni forma anche indiretta di
sovrapposizione fra la vicenda processuale e il dibattito interno agli
organismi associativi dei magistrati, restando la prima ancorata al
rispetto delle norme e, dunque, estranea alle diverse regole e logiche
del confronto associativo e di quello politico. Tale distinzione
costituisce fondamento della nostra civiltà giuridica ed è, da un lato,
parte della legittimazione del magistrato allorché agisce nell’ambito
delle proprie funzioni e, dall’altro, presupposto della possibilità
stessa per i magistrati di affrontare con serenità i profili di ordine
culturale, politico e deontologico che si rendono attuali.
2. In tale contesto, l’esercizio del diritto di critica dei
provvedimenti giudiziari non può essere escluso per i magistrati, ferma
restando la necessità che sia da loro esercitato in forma documentata,
continente e rispettosa di tutte le parti. Tale diritto deve essere
assicurato a maggior ragione allorché prende forma di corrispondenza
privata e di scambio di opinioni nel corso di riunioni e seminari.
3. Ferma restando la libertà di critica, anche severa, dei provvedimenti
giudiziari, deve essere ribadita la assoluta necessità che il dissenso
sull’operato dei magistrati non si trasformi in azioni miranti a
interferire col normale corso delle indagini e dei processi e ad
alterarne i risultati, soprattutto quando sono in gioco delicatissimi
equilibri istituzionali. Si tratta di condotte che nulla hanno a che
vedere con il normale e utile confronto e costituiscono deviazioni
intollerabili.
4. Chiunque intervenga nel dibattito pubblico su temi che concernono
l’attività giudiziaria dovrebbe farlo in modo rispettoso della
complessità del “giudicare”, risultando di grande danno l’adozione di
metodologie di dibattito ancorate allo schema amico-nemico, che
favoriscono la formazione di pregiudizi e ostacolano la serenità del
confronto processuale.
Questa esigenza è ancora maggiore nei casi in cui nel dibattito pubblico
vengono a formarsi anticipatamente “verità” che si proiettano sulla
fase del giudizio.
5. Lo schema amico-nemico, soprattutto quando applicato a procedimenti
che hanno ad oggetto fenomeni di criminalità mafiosa, conduce poi a
semplificazioni anche mediatiche, che appiattiscono ogni critica
all’ufficio giudiziario e ai sui esponenti o nella sfera della
connivenza inconsapevole oppure in quella della malafede, non altrimenti
spiegandosi il ricorso all’aggettivo “vile” utilizzato nei confronti
del comunicato del 19 settembre dell’esecutivo di Md e il più generale
ricorso a una terminologia tipica della descrizione di un vero e
proprio conflitto tra nemici.
6. Questo modo di interpretare e di presentare le critiche conduce,
poi, a perpetuare la confusione tra vicenda processuale e dibattito
pubblico, con la conseguenza che in modo inaccettabile vengono
stigmatizzate le critiche mosse alle condotte tenute dai magistrati
fuori e a lato del procedimento con l’argomento che quelle critiche
delegittimerebbero le indagini e l’attività giudiziaria.
7. A fronte di questi profili di ordine generale, appaiono piccola cosa,
per quanto offensive, le accuse di collateralismo mosse a Md oppure la
ridicola ipotesi che il gruppo sia parte di un “attacco concentrico”
alle indagini palermitane. A questo tipo di critica non è possibile
rispondere, né intendiamo assecondare chi intende spostare l’attenzione
dai problemi reali, ipotecare quello che il futuro ci riserva oppure,
più semplicemente, “mettere le mani avanti”.
LUIGI MARINI
presidente Magistratura Democratica
(20 settembre 2012)