Gentile direttore,
sul Corriere della Sera di sabato
3 marzo è apparso un articolo a firma Andrea Ichino e Paolo Pinotti dal titolo:
“Art. 18 Cause di lavoro, una roulette russa. Meglio i risarcimenti del
giudizio”.
L’articolo, utilizzando vari numeri
e statistiche, solleva il problema della diversa durata dei processi relativi a
licenziamenti in alcuni tribunali, esattamente Milano, Roma e Torino, e
sottolinea come la lunga durata di questi processi, in caso di accertata illegittimità
del recesso, si risolva in un danno sia per il datore di lavoro, tenuto a
versare la retribuzione per il periodo compreso tra la data del licenziamento e
quella di effettiva reintegra, e sia per il lavoratore, costretto a rimanere
senza retribuzione fino alla conclusione del processo di primo grado. Nella veste di giudici del
lavoro, e coordinatori del gruppo lavoro di Magistratura Democratica, vorremmo
proporre alcune riflessioni.
Il problema della durata dei
processi è certamente serio e complesso ed investe, purtroppo, seppure in
misura minore rispetto ai settori civile e penale, anche quello del lavoro,
spesso precludendo il rispetto dei criteri di oralità e immediatezza propri del
rito introdotto nel 1973. Senza soffermarci ora sulle cause
e sui possibili rimedi alla lentezza della giustizia, specie in alcune sedi,
vorremmo tuttavia sottolineare come non condividiamo le conclusioni a cui il
prof. Ichino e il prof. Pinotti giungono facendo derivare dalla premessa,
costituita dalla eccessiva durata dei processi sui licenziamenti, l’opportunità
di sostituire l’art. 18 e la reintegra del lavoratore illegittimamente
licenziato con un indennizzo monetario.
Anzitutto, nel nostro sistema e
per bocca della nostra Costituzione, chi ritiene di essere stato leso in un
proprio diritto ha una sola strada da percorrere, ricorrere al giudice per
chiedere tutela di quel diritto.Non è questione di opportunità,
non si tratta cioè di stabilire se “fanno bene i lavoratori ad affidare sempre
e comunque ai giudici la protezione di qualsiasi loro interesse”. Si tratta
invece di diritti ed i diritti si tutelano agendo in giudizio.
Siamo consapevoli dei costi economici
e sociali, per i datori di lavoro e i lavoratori, connessi alla eccessiva
durata dei processi. Già da tempo, tuttavia,
giuslavoristi sensibili e attenti a questi problemi hanno proposto una
soluzione molto semplice e molto efficace, discussa ed analizzata in tanti
convegni ma ignorata dal nostro legislatore. Con decreto del 24 luglio 2000,
su iniziativa dei Ministri del Lavoro e della Giustizia, fu istituita la
Commissione Foglia per lo studio e la revisione della normativa processuale del
lavoro.
Si trattava di una Commissione di
studio “preordinata alla individuazione delle ragioni di crisi del processo del
lavoro e della previdenza e alla prospettazione delle soluzioni più
appropriate”, composta da eccellenti magistrati, avvocati e docenti
universitari. Sul tema dei licenziamenti e
proprio al fine di scongiurare le conseguenze negative legate alla durata dei processi,
la Commissione propose l’introduzione di una corsia preferenziale nella
trattazione delle cause di licenziamento in maniera da garantirne la
trattazione e la decisione in tempi il più possibile rapidi.
Questa semplice soluzione,
attuabile con una modifica normativa di poche righe e giustificata dalla
priorità delle cause aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro,
avrebbe evitato tutti i problemi oggi sollevati dal prof. Ichino e dal prof.
Pinotti, senza necessità alcuna di cancellare l’art. 18. Difatti, ciò che ci appare
criticabile nella soluzione suggerita dai professori Ichino e Pinotti, “meglio i risarcimenti che il giudizio” è che
essa non sia assolutamente pertinente al problema posto, quello della durata
dei processi.
Se i processi durano a lungo,
occorre cercare soluzioni per ridurre i tempi, senza bisogno di utilizzare
termini come lotteria e roulette russa, che riteniamo fuori luogo e persino
devianti. Eliminare garanzie dei lavoratori
non solo non serve a far durare meno i processi ma non è, da nessun punto di
vista, una strada legittima. Quando si parla di diritto al
lavoro (articolo 4 della Costituzione) si intende diritto di svolgere
un’attività lavorativa, strumento di emancipazione sociale, mezzo per
un’esistenza libera e dignitosa.
L’art. 18 costituisce un tassello
fondamentale nel sistema di tutela dei lavoratori, del diritto al lavoro e
della dignità del lavoro stesso, per pensare di cancellarlo e di sostituirlo
con un “prezzo adeguato per la possibilità di licenziare”.
Carla
Ponterio Roberto Riverso
L’INVERVENTO DI MARGHERITA LEONE E AMELIA TORRICE: “Un’analisi rigorosa a Roma”
LA CONTROREPLICA DI ICHINO E PINOTTI
IL PRIMO ARTICOLO “La roulette russa dell’art.18”