di Stefano
Rodotà
Nel rinnovamento
culturale della magistratura italiana ha avuto un ruolo particolare
il superamento di quella che era stata definita come la sua
“separatezza” dalla società. Si trattò di una scelta niente
affatto retorica o di facciata. Si facevano crescere, insieme,
responsabilità e trasparenza dell’azione giudiziaria. Soprattutto
si ricomponeva l’unitarietà dell’ordine giuridico, fino a quel
momento amputato della possibilità di riconoscere nella sua pienezza
il ruolo proprio della Costituzione nell’amministrare giustizia.
Superamento
della separatezza. E
la separatezza veniva così rotta con il determinante contributo
della più alta fonte giuridica, consentendo il collegamento con
tutti gli interessi meritevoli di tutela, quali sono appunto
riconosciuti e garantiti dalle norme della Costituzione. Non una
operazione puramente volontaristica, dunque, ma il collegamento con
la società attraverso la ricostruzione della legalità
costituzionale.
Reti sociali.
L’approdo al nuovo
mondo delle reti sociali può essere considerato come un rinnovato
passo nella direzione della eliminazione della separatezza, creando
un canale di comunicazione diretta con la società. Mi sembra una
decisione opportuna, perché riprende le due questioni chiave della
trasparenza e della responsabilità. Introduce, però, anche un
elemento congeniale alla dimensione della rete, quello della
possibilità del dialogo, della conoscenza e della condivisione. Di
questo si ha bisogno per andare oltre le riflessioni chiuse o
autoreferenziali, per avere un ascolto e uno scambio con l’opinione
pubblica, ormai vitali per qualsiasi istituzione.Ma non siamo di
fronte soltanto ad una migliore comunicazione con l’esterno.
Cambio di passo
culturale. Non si può
nascondere un dato di realtà, rappresentato da un inaridirsi della
discussione, della elaborazione culturale da parte della stessa
magistratura, eredità di un, ahimè, interminato tempo di
aggressioni e conflitti che ha obbligato la magistratura ad una
guerra di trincea che ne ha spesso esaurito le forze e l’attenzione.
Nel momento in cui ci si apre istituzionalmente, questa attitudine
non può essere più coltivata, sopravviene una sorta di vincolo
esterno che obbliga ad un confronto continuo, ad una critica non
celata, ad una verifica continua dell’adeguatezza degli strumenti
adoperati. Non una generica modernizzazione tecnologica, dunque, ma
un cambio di passo culturale.