Una riforma meditata. Non una <i>svuotacarceri</i>

Rassegna

Una riforma meditata. Non una svuotacarceri

di Esecutivo di Magistratura Democratica
R. De Vito: «Una legge che ridà alla magistratura di sorveglianza la sua autonomia decisionale e il ruolo di garanzia sancito dall’art. 27 della Costituzione» (Il Dubbio)

Non è una legge svuotacarceri, ma anzi elimina gli automatismi per l’immediata fuoriuscita dal circuito giudiziario e restituisce alla magistratura di sorveglianza della sua autonomia decisionale». Ecco perché Riccardo De Vito, presidente di Magistratura democratica, auspica l’approvazione della riforma penitenziaria nella sua versione originale, senza le eccezioni sollevate dalle commissioni.

Presidente, perché condivide nel merito i contenuti di questa riforma?

Perché oggi l’ordinamento penitenziario, a causa di una serie di preclusioni e automatismi, impedisce alla magistratura di scrutinare i percorsi individuali di ogni detenuto. La riforma, invece, riporta al centro l’importanza delle misure alternative al carcere e il potere-dovere del magistrato di sorveglianza di analizzare ogni percorso rieducativo, per capire se il detenuto è meritevole di accedere ai benefici e in caso di non meritevolezza, meglio un “no” spiegato e motivato che non una mera dichiarazione di inammissibilità.

Come mai ha suscitato contrasti così aspri all’interno della stessa magistratura?

L’esecuzione della pena è un tema naturalmente molto sensibile, perché è la plastica concretizzazione dell’ordinamento penale nei confronti dei cittadini. Tuttavia, ritengo che per contestare la riforma sono stati utilizzati argomenti capziosi.

È stato sostenuto che si tratti dell’ennesima misura “svuotacarceri”.

Non è così: questo intervento è diverso dai precedenti, che erano di carattere emergenziale e volti a ridurre i numeri all’interno delle carceri. La riforma, invece, elimina proprio gli automatismi finalizzati all’immediata fuoriuscita del detenuto. Non a caso viene ridisegnato il parametro dell’osservazione penitenziaria in maniera più conforme ai moderni approcci criminologici, offrendo al magistrato un quadro trattamentale più funzionale a cogliere le molteplici cause dei crimini. In questo modo, noi giudici di sorveglianza riprendiamo in mano il ruolo di garanzia che l’articolo 27 della Costituzione ci attribuisce.

Lei vede con favore le misure alternative al carcere. Alcuni interlocutori, però, le hanno contrapposte alla certezza della pena.

La certezza della pena deve essere intesa come pena tempestiva. È una distorsione di pura campagna elettorale, invece, pensare che significhi la sua immutabilità. Anzi, le dico di più: proprio l’immutabilità della pena è il peggiore nemico della sicurezza, perché non cogliere quando un detenuto è rieducato e può uscire dal carcere significa lasciarlo incattivire nella scuola del crimine. Quanto più la pena rieduca, tanto più la sicurezza dei liberi viene salvaguardata. Aggiungo anche che le cosiddette “misure di comunità” non sono un’alternativa a poco prezzo del carcere, ma impegnano l’uomo come se fosse il carcere, collocandolo però nel mare stesso in cui deve di nuovo imparare a nuotare. Si tratta di strumenti efficaci, come testimoniato dai numeri in materia di recidiva.

Un altro tema sensibile è legato al 41-bis. Questa riforma lo modificherà in qualche modo?

Assolutamente no, perché la stessa delega esclude il 41-bis dalla materia di riforma. Si è sostenuto che potesse essere messo sotto attacco dalla norma sullo scioglimento del cumulo delle pene. Questo principio consente ai detenuti che cumulano condanne per reati di mafia e comuni, che la pena espiata per prima riguardi i reati di stampo mafioso, facendo sì che la pena residua – se ricorrono i presupposti – possa essere espiata in modo alternativo. Questo, del resto, è già codificato dalla giurisprudenza di Cassazione e costituzionale, ma si tratta di un principio che non si applica al 41-bis, che è norma speciale. Il magistrato di sorveglianza che disponesse lo scioglimento del cumulo per chi è sottoposto al 41-bis lo farebbe in violazione della legge.

L’attuale clima politico e la campagna elettorale stanno complicando l’iter di approvazione, sulla scia dell’ansia dell’opinione pubblica?

È più difficile che venga approvata solo se si rinuncia a spiegare in modo convincente che un detenuto che sconta la pena in un ambiente che tutela i suoi diritti è più facilmente rieducabile e utilmente inseribile nel circuito sociale. Altrimenti, il rischio è che si finisca preda della democrazia emozionale, in cui prevalgono paura e rancore.

Giulia Merlo

22/02/2018

Articoli Correlati

Articolo comparso su "Il Manifesto" del 15 agosto 2023

Dentro le mura devono entrare i diritti. Non servono più spazi, ma più operatori


Universo recluso Un carcere con una media di un funzionario giuridico-pedagogico ogni 71 detenuti, con picchi di un educatore ogni 379 non può conoscere le persone, prenderle in carico con efficacia

Editoriale

Ordine pubblico democratico


In questi giorni le notizie di cronaca hanno riportato una serie di episodi che richiamano la nostra attenzione sull’uso legittimo della forza pubblica e sul concetto di ordine pubblico.

“Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”(Dostoevskij)

La Casa Circondariale di Napoli Poggioreale “Giuseppe Salvia”


Il luogo di detenzione non è solo quello dove un individuo deve scontare la sua pena, ma un luogo dove, come ci insegna la Costituzione, bisogna predisporre tutti gli strumenti idonei per offrire, a chi ha sbagliato, nuove possibilità di reinserimento sociale, al fine di scongiurare che ritorni a delinquere e per tutelarne sempre la dignità e la salute psicofisica. 

Carcere

Il Dap: una realtà complessa


Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria è una realtà estremamente complessa, senza eguali rispetto alle altre articolazioni del Ministero della Giustizia: sia per il suo enorme budget, pari a oltre 3 miliardi e 200 milioni di euro, pari a circa metà dell’intero bilancio ministeriale; sia per l’elevato numero di unità di personale, oltre 45.000, cui si aggiungono le circa 56.000 persone oggi detenute; sia per il numero di strutture penitenziarie, poco meno di 200, alcune delle quali, per dimensioni, sono vere e proprie piccole città; sia per la varietà delle interrelazioni con altre amministrazioni, centrali e locali, su temi cruciali per gli equilibri del sistema penitenziario (salute, lavoro, formazione, assistenza sociale); sia per le implicazioni politiche che riguardano il discorso pubblico sulla pena e sul carcere e per un’attenzione mediatica in genere rivolta a cogliere i segnali di pericolo che provengono da una realtà avvertita come minacciosa, quasi mai a tentare un’analisi razionale dei problemi e delle possibili soluzioni, rispetto a cui vi è una coazione a ripetere slogan ideologici e spesso privi di qualunque aggancio con il mondo reale.

Chi è cosa. Chi pensa cosa

La conversione in legge del decreto no vax/ergastolo/rave


L’interpretazione della legge passa anche attraverso l’esame, quando è necessario, dei lavori preparatori. Non è quello che intendiamo fare qui, proponendo brevi estratti degli interventi per dichiarazione di voto alla Camera dei Deputati sulla fiducia posta dal Governo sul “decreto No vax/rave/ergastolo”. Ma crediamo che la lettura, sia pure per sintetico estratto, di ciò che i rappresentanti dei diversi partiti hanno detto, consenta a tutti di vedere “chi è cosa” e “chi pensa cosa”.